L’altro giorno abbiamo ricevuto una telefonata da una vecchia amica, che ha raccontato la storia drammatica di comuni conoscenti che abitano a Reggio Emilia.
In quella città emiliana, una volta ricca, opulenta, laboriosa, ove tutti avevano un lavoro che svolgevano coscienziosamente, con inventiva e operosità unica, la gente era allegra e buontempona, amava godersi la vita con i soldi guadagnati con fatica; ora subisce la mannaia della crisi economica, come nel resto dell’Italia, oltre a soffrire i danni dell’ultimo terremoto.
Posti di lavoro sono tagliati, gli stabilimenti e le fabbrichette ora annaspano in un mare di debiti, con meno ordinativi, meno pagamenti ricevuti, più tasse e balzelli burocratici da subire.
In quella famigliola, che conosco appena, lui ha perso il lavoro, lei è in cassa integrazione, per ora, la figlia che si era appena iscritta all’università non trova sbocchi occupazionali.
Ora con la vecchia auto battono i mercatini di provincia, cercando di vendere oggettini usati, quelli da un euro o poco più.
Hanno chiesto ad amici e conoscenti se avessero qualcosa di vecchio o superfluo da dare a loro.
Noi abbiamo pulito e impachettato vecchi biberon che i nipotini non usano più, coppie di tazzine mai usate, orologi e radio datate, brocchette, vestiti, libri, che saranno da loro esposti su un lenzuolo o su un tavolino da campeggio in una piazza rumorosa e affollata.
La cosa incredibile è che non si tratta più di mercatini di brocantage ove gironzolare curiosi per cercare l’impossibile affare, ma di posti dove la gente va a cercare e acquistare per necessità le stoviglie o il biberon perché solo un euro può spendere.
Ormai sembra caduta anche la vergogna di mostrarsi poveri, loro, gli emiliani, fino a pochi anni fa così esuberanti e opulenti.
Voglio citare anche il caso di una giovane signora in Umbria, brillantemente laureata in scienze, con una bambina, che ha lavorato per anni come impiegata in varie istituzioni come esperta di contributi e contabilità, sempre con contratti a tempo determinato, poi in vari uffici quale collaboratrice con partita IVA, con stipendio sempre ridotto fino a perdere anche le 500 euro che guadagnava.
Non ha mai trovato un lavoro stabile, nonostante le mille promesse, perché non era raccomandata da un potente locale, di qualsiasi bandiera fosse.
Tante storie simili potrei raccontare, di famiglie che sopravvivono in qualche modo grazie ai genitori o ai nonni pensionati, che fortunosamente sono riusciti a farsi una casa tanti anni fa.
Dalle inchieste giornalistiche e in televisione emergono invece, elitari e staccati dalla gente comune, i rappresentanti di una classe politica parassitaria che sembra non avere questi problemi, anzi si dimostra sempre più arrogante, arricchita e rapace.
Non sono più quaranta i ladroni della favola, secondo le stime di Rizzo e Stella questa nuova classe di potere conta circa due milioni di persone, aristocratici non tanto per nascita ma per cooptazione connivente.
E Alì Babà direte voi?
I tesori nascosti certe volte li trova la Finanza e la Magistratura, anche se non so quanto si riesca a rimettere nelle disponibilità delle casse dello Stato, credo ben poco.
A noi, novelli Alì babà resta solo il “ Gratta e vinci” quel foglietto colorato da un euro che ci offre con insistenza tentatrice la cassiera del supermercato o il tabaccaio sotto casa.
Ecco balenare oltre la porta della grotta il tesoro nascosto dei milioni, delle rendite mensili da diecimila euro, la metà di quella di un parlamentare.
Paga e spera, tanto sperare non costa niente.
Anzi no: un euro prego.