Ho due figli sportivi.
Il maggiore, l’avvocato ( con la a minuscola, prego ) fin da bambino è stato bravissimo in ogni attività sportiva, pallacanestro, tennis, atletica leggera, calcio.
Da ragazzo voleva assolutamente fare il calciatore e entrare in quelle società che allenano e preparano i giovani per poter trovare le future promesse del football.
Ancora adesso cerca di ritagliarsi una serata per un torneo di calcetto o una partitella con gli amici.
Il secondo, l’artista, l’Effetto Speciale, il Martello di dio, ha avuto un’infanzia più moderata in questo senso, salvo una passione viscerale per tutti gli animali, che, quando ha deciso ed è riuscito a farsi iscrivere ad un corso di ippica, lo ha portato a raccogliere un buon numero di coppe nella specialità del dressage e nel salto ad ostacoli.
Poi, dopo la fuga a Londra è esploso in una girandola forsennata: kick-boxing, palestra, ciclismo, gare di nuoto nel Tamigi per uno e due miglia, trekking sulle Alpi o tra le scogliere dell’Irlanda del nord, vacanze sugli alberi in Cambogia.
Mi spaventa con propositi di partecipazioni a specialità sconosciute, tipo pentatlon in cui si corre, poi si nuota, si salta, si fanno diavolerie con la bici.
Io naturalmente sono tutto l’opposto.
Gap generazionale, si sa.
Nei miei ricordi di’infanzia ricordo che a calcio mi mettevano in porta, ma le pallonate mi terrorizzavano e venivo ben presto buttato fuori dal campo.
A pallavolo, a basket e in ogni attività atletica ero una frana.
A scuola nell’ora di ginnastica quando potevo mi ritiravo in un cantuccio a leggere libri, il cavalletto, la pertica e la corda erano un incubo.
Infatti alla maturità ebbi il disonore di dover riparare a settembre una materia come educazione fisica.
Poiché il destino è beffardo, durante il servizio militare nel 3° reggimento artiglieria missili fui chiamato a partecipare come atleta ai giochi del corpo d’armata.
Dato che le autorità militari, oltre all’oculata scelta dei loro campioni, hanno un concetto molto particolare dello sport, la gara consisteva nel far correre delle squadre di otto ragazzi, completamente vestiti in uniforme e tuta mimetica, anfibi, elmetto, maschera antigas, fucile, bandoliera e una pesantissima mitragliera da campo con treppiede, su e giù per stretti sentieri di montagna.
Un percorso a tempo di soli dodici chilometri.
Logicamente la preparazione durata tre mesi era graduale e minuziosa, si cominciava con corsette di venti chilometri in calzoncini e scarpe ginniche nella campagna trevigiana.
Gentili i contadini, ci offrivano bicchieroni di Clinto, panini con pescetti marinati; anche il vitto di caserma era ipercalorico.
Nell’ultima prova di gara ebbi uno sbocco di sangue, così fui declassato a fotografo ufficiale, correndo avanti e indietro per riprendere la squadra, munito di una macchina fotografica che casualmente avevo con me.
Per la cronaca era una Voiklander a soffietto che mio padre aveva comprato in Africa al tempo della trasvolata di Balbo, nella sua qualità di meccanico motorista.
Dopo la corsa, nelle osterie del paese si fece gran festa e una nuova gara di bevute di vino e di grappa tra i vari gruppi di soldati che avevano gareggiato.
Confesso con rossore che vendicai lo smacco subito dalla mia squadra, essendo l’unico a restare in precario equilibrio, dopo che con il vuotarsi delle decine di litri man mano cadevano i nostri, ma anche tutti gli avversari alpini.
La coppa era nostra, anche se solo di buon vino.
Mese: aprile 2011
18 aprile 2011 IN VIAGGIO
Stiamo viaggiando in auto verso l’Umbria.
Incredibile, noi nonni abbiamo avuto un colpo di fortuna.
Per una serie di coincidenze, la chiusura asilo per festività, le ferie non disponibili per i genitori, gli altri nonni occupati, abbiamo avuto in custodia i due pargoli per ben nove giorni durante il periodo di Pasqua.
Arriveranno i genitori in treno giusto per i tre giorni di festa, ma ne rimangono sei tutti per noi, se ce la faremo.
C’è gioia, c’è incoscienza per la fatica, ma in fondo la vita è una sfida.
La nostra casetta in Umbria è sulle colline sopra le cascate delle Marmore, è un terreno in forte pendenza, tenuto a uliveto e bosco di pini, querce e macchia mediterranea, distante tre chilometri dal vicino paesello medioevale.
C’è una nutrita e varia tribù di gatti semiselvatici, ma anche scoiattoli, istrici, tassi e persino numerosi cinghiali.
Bisognerà avere 24 occhi, ma ci divertiremo.
Il viaggio è lungo, di solito ci vogliono circa sei ore.
Il nipotino più grande, chiamato lo Scoiattolo, è legato sul seggiolino a fianco del posto di guida perché soffre il mal d’auto.
Però in questo modo si può parlare e commentare le auto e i camion che incontriamo per la strada.
Dopo aver finito un pacchetto di patatine e una limonata la conversazione si fa più intima.
Afferma con aria complice: “ Allora, mangerò tanta carnina, così diventerò grande e forte come papà”.
Confermo i suoi buoni propositi con un cenno del capo, devo solo ascoltare.
Lui continua :”Ma anche la pastasciutta fa diventare grandi, vero nonno ?”
“ Certo, è proprio così “ lo rassicuro.
“Voglio mangiare anche le carotine e l’insalata, così divento forte e pelato come papà, vero ?”
“ Questo è probabile, anzi sicuro” devo ammettere a malincuore.
Il piccolo non sa che mio padre, mio nonno, il bisnonno e io naturalmente, siamo diventati tutti pelati a partire dai vent’anni.
Con un fortunato slogan pubblicitario si potrebbe dire : “ Talponi, i buoni pelati di Milano”.
SIAMO TORNATI
Siamo tornati a Milano, esausti per le nove ore di viaggio in auto da Terni.
Fermate strategiche per il nipotino che vomita, quello che ha fame e vuole sgranchirsi le gambe, la vescica del nonno, la pausa per il ristorante poiché i nipotini non si accontentano del panino veloce, l’incidente in autostrada a poche decine di chilometri da Milano che ti ributta in strade sconosciute e intasate.
Siamo tornati e abbiamo riconsegnato i due angeli alla madre, sorridente e trepida.
Abbiamo scaricato dalla vecchia vettura famigliare le valige, i borsoni, i sacchi dei giochi e i pacchetti di prelibatezze casarecce.
Siamo stati ad ammirarli mentre riesploravano il loro appartamento e la loro cameretta, a casa loro dopo nove giorni di vacanza con i nonni in quella collina semiselvaggia della Valnerina.
Erano felici ma ci cercavano con gli occhi e non volevano farci andar via.
Ma la nostra parte era finita per ora, l’avevamo recitata come potevamo, con tutto l’amore, la comprensione e la gioiosità possibile, resistendo alla fatica mentale e fisica.
Assediati come a Fort Alamo a detta del nonno, secondo le sue reminescenze eroiche di quando era ragazzo.
Ora con immenso dispiacere, ma in fondo era giusto così, dovevano lasciarli ai loro genitori.
Sappiamo dove stare, disponibili ma con discrezione, solo quando siamo chiamati.
Possiamo sempre telefonare, con aria informale per sapere se tutto va bene, se sono in salute, se è avvenuto qualcosa di nuovo.
Siamo tornati nella nostra famiglia ristretta, ma segretamente speriamo di essere ancora chiamati, desiderando di essere utili, per tornare bambini insieme a loro.
FUORI DI CASA !
Con i figli bisogna dare amore ma anche un senso del limite, insomma diritti e doveri.
Ma anche affetto, come fare senza ?
Li abbiamo educati in questo senso, avere dei principi, ecco la parola.
Infatti, quando a diciassette anni il più piccolo, durante una vacanza natalizia, si mise d’ accordo con la zia Giulia per rimanere a Cambridge per continuare gli studi, noi fummo sorpresi ma impotenti.
Si era già preparato accuratamente, aveva circuito la zia con gentilezze e coccole traditrici, al ritorno a Milano risultò che aveva dimenticato là una valigia con vestiti e libri di scuola, non solo, aveva già parlato con la tutor della scuola inglese per la sua iscrizione, ottenendone l’approvazione.
Mentre noi cercavamo di temporeggiare, lui era già stato a dare l’addio a professori e preside del suo liceo milanese, stupiti perché non si era mostrato uno studente molto brillante.
Quindi partì per il lontano nord e noi, di nascosto, a commuoverci.
Rimaneva il figlio maggiore, vivace come non mai, si divertiva ampiamente, ma si laureò abbastanza in fretta e trovò una serie di lavori.
Lui mangiava da noi, ma alle sue ore, ritornava a dormire, talvolta rientrando quando noi uscivamo per andare al lavoro, era troppo impegnato e quindi poco disponibile per i lavori o la spesa quotidiana.
In casa, come quella canzone famosa, era come in un albergo.
Allora abbiamo detto basta, in Inghilterra i figli escono di casa a 16 anni, quindi che si cercasse un alloggio fuori.
Ricordo che ci guardò stupito, ma come, tutti i genitori dei suoi amici pregavano e scongiuravano i loro figli di rimanere in casa e noi volevamo buttarlo fuori ?
Ebbene si, noi eravamo anglofoni, dopotutto avevo mia sorella che viveva lassù, anche suo fratello si era allontanato da un paio d’anni.
Lui era comunque incredulo, quale perfidia dei suoi cari genitori e la voce si sparse in giro.
Gli amici e conoscenti ci guardarono accigliati, che strana famiglia la nostra.
Poi lui accettò, sicuro e spavaldo, andava a stare dal suo amico Andrea che viveva da solo.
Al piano sopra il nostro appartamento.
Beh non era lontano, ma almeno era uscito di casa.
Ritornarono a pranzo e cena tutti e due.
Ma il principio era salvo.
IL TERRORE CORRE SUL FILO
Il pomeriggio era stato piacevole, una pausa riposante tra due giornate di convivenza con gli adorati ma impegnativi nipotini.
La mia ninfa era dalla parrucchiera, mi godevo un sottofondo musicale rilassante, sdraiato in una morbida poltrona, con i piedi sul divano di fronte, la piletta dei libri da leggere, da alternare secondo l’umore, per assaporare variazioni di temi e di ambienti.
Niente pero’ puo’ durare a lungo.
La mia longilinea compagna di vita e’ ritornata, sfoggiando compiaciuta i risultati del trattamento ricevuto dalla maga coiffeuse Carmen.
Ho abbassato gli occhiali e apprezzando gentilmente la sua capigliatura, anche se non sono riescito a notare cambiamenti eclatanti.
Devo anche dire che io la trovo sempre giovane e bellissima, come se avesse ancora ventiquattro anni.
Ma non posso dirglielo, lei e’ timida e scontrosa.
I complimenti li devo dosare con cautela.
Non per niente l’ho soprannominata” Istrice Prussiana “.
Il secondo attributo si riferisce alla sua ferrea volonta’, derivata da antenati lanzichenecchi, secondo un dubbio documento genealogico di un prozio monsignore.
Appena uscita dalla sala sono ritornato alla rilettura del mio Don Chisciotte, con ridispiegamento della cartina della Castiglia, scala 1: 200.000, per cercare di capire quale fosse stato l’ipotetico tragitto del mio eroe nella Sierra Morena.
Ma ecco che lei e’ ritornata, si era cambiata, ora e’ in tuta di ginnastica e stringe un borsone, avvertendomi che e’ arrivata l’ora della palestra.
Una sua amica lo scorso anno l’ha convinta a iscriversi ad un corso presso la palestra della vicina scuola elementare.
Non e’ cambiata molto dai tempi che la dovevo frequentare da ragazzino, muri un po’ scrostati, lieve odore di sudore, ricordi di esercizi ginnici che odiavo cordialmente.
Ma il corso costa poco, il trainer e’ un atletico insegnante neopensionato, l’ambiente e’ tranquillo, senza i soliti gasati che devono sfoggiare bicipiti e lanciare grugniti durante i loro sforzi, infatti l’eta’ media e’ abbondantemente sopra i sessanta, una quarantina di donne sempre cinguettanti, tre maschi me incluso.
Lo sport e il movimento fanno bene, sostiene e insisteva l’Istriciotta, insisteva il figlio promettente avvocato e insisteva pure il figlio londinese.
Avevo cercato di rinviare ogni coinvolgimento per oscuri impegni che avevo in corso, non sono stato creduto e infine sono arrivati i perentori consigli di d’oltremanica.
Qui non si scherza.
L’emigrato londinese e’ capace di telefonarti sette o otto volte al giorno, senza pieta’ ne’ remissione.
Una goccia martellante, dopo una settimana o al massimo dieci giorni tutti capitolano.
Nessuno gli ha mai resistito.
Devo dimagrire e morigerami nell’alimentazione, secondo la consorte ?
Lei telefona subito all’emigrato.
L’altro figlio dice che non trova il tempo per fare le analisi del sangue che il medico gli ha prescritto ?
Basta telefonare a Londra.
Sono perfino riuscito con il suo aiuto a bloccare mia moglie che voleva iscriversi nuovamente a un master universitario, dopo aver conseguito durante la nostra relazione ben quattro lauree nella stessa specializzazione medica, secondo me con incomprensibili varianti.
Ci ha salvato da un possibile divorzio.
Comunque l’adorabile nonna mi ha guardato con dolcezza, ripetendomi l’invito a seguirla in palestra, aggiungendo soave : ” devo forse telefonare a Londra ? “.
L’argomento e’ stato decisivo, sono scattato in piedi per cambiarmi con una tuta e afferrare la mia sacca.
Non avevo alcuna voglia di sperimentare la sferza del mio caro figliolo londinese, che si può a ragione denominare ” Il Martello di dio “.
TALPONE A CHI ?
Non passa giorno che non ci siano novità.
E poi dicono che la vita dei pensionati è ripetitiva…
E’ vero, mentre prendo la metropolitana, mi è capitata una lieve disavventura, una sciocchezza, volevo solo difendere una ragazza derubata da tre ragazzotti zingari, ma insomma, ne capitano di ben altre sui giornali.
Il guaio è averne parlato con mia moglie e con i figli.
Risultato: si sono messi a ridere come matti, addirittura mio figlio inglese, il Martello di dio, mi ha creato un blog, “nonno talpone”.
A me, che quando facevo il servizio militare da topografo il sergente diceva sempre che avevo dodici decimi di capacita’ visiva.
La dizione mi sembrava poco coerente dal punto di vista matematico, ma mi faceva piacere e non gli davo troppo peso dato che in matematica ero tra gli ultimi della classe.
Comunque questo glob o blog che sia non ho capito come funziona, se devo scrivere userò la solita lettera elettronica, sono avanzato io, non uso più le lettere postali, non trovi mai i francobolli giusti o almeno quelli belli colorati che ti faceva piacere vederli quando ricevevi le buste, ora ti scrivono solo le banche e quelli che ti vogliono imprestare dei soldi a tutti i costi.
Poi, perchè Talpone ?
E’ vero che porto gli occhiali multifocali come tutti, ne tengo in tasca sempre un paio di riserva, non si sa mai.
Li tolgo solo quando gioco con i miei nipotini, perchè nella lotta o quando faccio il cavallo si possono rompere.
Quando vado all’asilo a riprendere il piccolo Scoiattolo, anni fa fingevo di non vederlo, guardandomi intorno dicevo ad alta voce:” Non ti vedo, dove sei ?”
Lui sotto di me con gli occhi impensieriti mi guardava in su e con le manine si indicava disperatamente.
Allora io lo prendevo su stringendolo forte, girando su me stesso e facendo un minuetto.
Era un gioco tra noi due, forse un pochino sadico, come tutti i divertimenti dei bambini, quello che conta e’ il lieto fine e ridere insieme.
Ora quando entro nella sua sala dell’asilo e mi guardo intorno, non lo vedo bene, ma c’è sempre il suo amico Stefano che con la sua voce squillante grida : ‘ Guarda, c’è tuo nonno ! “e io lo prendo in braccio di slancio come una volta.
Spero che in futuro lui e il compagnetto di giochi non mi facciano lo scherzo di gridare al modo solito, mandando avanti un loro amichetto.
Lo riconoscerei, disattento come sono ?
NONNO HULK
Una cara e spiritosissima mamma ha scritto che suo figlio, in un attimo di smarrimento o di perfidia, aveva dichiarato di voler cambiare casa e nome, trasferendosi dai genitori e dai nonni del suo compagno di asilo.
Nonno Talpone si e’ subito entusiasmato all’idea di ingrandire la famiglia, nella sua abituale incoscienza, scrivendo la seguente email:
Cara Elastic Girl ( strano nome davvero ),
mi scuso per doverla disturbare ancora, sono il cosidetto nonno elastico un po’ svampito.
Dovendo essere il nonno putativo di suo figlio, ne consegue che lei diventerebbe quasi mio figlia o, nel peggiore dei casi mia nuora, in ogni caso essendo la madre di un mio occasionale compagnuccio di giochi nei giardini pubblici a voi vicini, è quasi a una madre che mi rivolgo per risolvere un problema che mi si è presentato stamattina.
Come al solito mia moglie, l’adorabile nonna Istrice, mi ha spedito fuori per acquistare il giornale oltre ad una lunga lista di generi di impellente necessità quali la carta igienica, i pelati, i fazzoletti di carta per l’eterno raffreddore etc..
Essendo domenica, i negozi e supermercati chiusi, dopo essere passato dal giornalaio per il quotidiano “il Fatto Quotidiano” che la consorte richiede ( io acquistavo “Il sole 24 ore” per il supplemento domenicale, ma ora sono in polemica con loro, quindi non lo compro più ) stavo pensando dove andare ad eseguire gli ordini ricevuti.
Non mi rimaneva che usare la metropolitana e provare in un emporio in centro, per cui scendo le scale, passo i tornelli e mentre aspetto pacificamente l’arrivo del treno, arriva trafelata una ragazza che esclama : “ c’è un gruppo di ragazzi che mi hanno messo le mani nella borsetta, attenzione ! “.
Io non giro più con il borsetto da diversi anni, lei è forse troppo giovane per ricordarsene, per fortuna è passata quella moda veramente scomoda, ma decido di salire a dare il benservito a quei teppistelli , seguito da un giovanottone che era vicino a me.
Ora deve sapere gentile mamma che quando giochiamo con i lego, mio nipote, quello più piccolo, di due anni, ha difficoltà ad aprire quei blocchetti sottili che sono incastrati insieme.
Mio figlio, il promettente avvocato, si ostina a considerare adulti i suoi pargoli di due e quattro anni, per cui acquista scatole di Lego professionali per costruire scavatori ( 700 pezzi ) castelli medioevali ( 900 pezzi ) con cui il piccolo cerca di impilare in qualche modo un cubo o un parallelepipedo.
Io sono delegato a smontare i pezzi incastrati, cosa che faccio ben volentieri fingendo uno sforzo smisurato, tanto che l’altro nipote, lo Scoiattolino, mi chiama “ nonno Hulk “.
Ha già capito tutto, vero cara Elastic Girl ?
Arrivati al mezzanino mi sono trovato davanti a tre ragazzotti muscolosi di vent’anni che mi hanno guardato storto e che io riguardavo con occhio truce.
Mi sono avvicinato al gabbiotto dell’agente di stazione dicendo ad alta voce di chiamare la polizia, l’addetta, una biondina alta ed esilina, mi ha sussurrato che l’aveva già chiamata, richiudendo in fretta la porta.
“ Bene “ ho detto guardando in cagnesco i tre che erano usciti dai tornelli e non avevano ancora capito chi fossi e cosa volessi fare .
La ragazzina in divisa della stazione ha aperto ancora un pochino la porta di vetro del suo ufficio per sussurrarmi che era più sicuro che me ne andassi via al più presto, allora mi sono girato e mi sono accorto che ero rimasto solo nel vasto spazio del mezzanino della metropolitana, inghiottendo saliva sono riuscito a mantenere lo sguardo truce, grazie anche ad un ictus momentaneo, e , forte dei miei ricordi fumettaroli e cinematografici, ho pensato ad un’arma di difesa.
Cosi ho arrotolato ben stretto lo smilzo giornale che avevo in mano e ho maledetto il fatto di non avere acquistato il corrierone e soprattutto che in Italia non ci sono i giornali domenicali con i supplementi.
Ma perché benedetta amica giornalista fate i supplementi solo al venerdì e al sabato, la gente non può dire all’eventuale aggressore “ scusi oggi non vale, non è uscito il supplemento, ho solo un giornale di quattro pagine! “.
Comunque sono riuscito a ridiscendere al mezzanino dei treni, fermandomi vicino ad un gruppo di nordafricani, ricordando che nelle notizie di cronaca nera si era dimostrato che in casi simili sono loro gli unici che intervengono in aiuto.
Sono poi riuscito a tornare a casa sano e salvo con tutta la spesa richiesta, ma per ora non ne ho fatto parola con mia moglie, per non sentirmi fare i soliti predicozzi.
Ne parlerò con mio nipote Scoiattolino,
L’altro è piccolo, non capirebbe e poi come fare a dirgli che non deve più chiamarmi “nonno Hulk”, le pare?
Grazie per l’attenzione
Nonno Talpone
QUANDO ERAVAMO ANCORA PIRATI.
Erano assalti ai castelli del governatore spagnolo, attacchi a file di cuscini del divano buttati a terra, arrembaggi forsennati a galeoni poltrone.
Dopo le fatiche guerresche veniva chiamato a gran voce il cambusiere, per portare i beveraggi, fantasiosi boccali di vino, ” bille ” e ” lum “.
La R era ancora ignota, noi ci divertivamo, ma mio figlio, il promettente avvocato, era preoccupatissimo, temeva di avere un figlio cinese.
Quando la sete si faceva veramente sentire era necessario mescolare succo di amarene, zucchero e acqua per travasare il tutto in bottigliette da liquore tipo minibar, tapparle bene e portarle in un vassoio ai due minuscoli pirati.
Erano poi ben attrezzati nel loro ruolo: bende nere all’occhio sinistro, feluche ornate di teschio e tibie, schioppi e coltellacci di plastica morbida, spadoni di cartone.
Era una continua ricerca e scoperta di libri illustrati, magneti adesivi, puzzles, stesure di mappe del tesoro, canti guerreschi da ” pilati “.
Un avvenire roseo di conquiste e bottini di forzieri inverosimili contenenti caramelle e monete dorate di cioccolato.
Perfino dopo aver visto numerose volte il film di Peter Pan la saga dei pirati non è stata scalfita.