SORRISI


Stazione ferroviaria Cumana, chiedo in biglietteria quale sia il treno per andare a Cuma per visitare i siti archeologici. L’addetto gentilissimo chiede ai suoi colleghi ferrovieri presenti, poi telefona addirittura alla sede centrale.

” Gaeta’ che ce sta pe anna’ a Cuma?  Niente? Ah…”

“Scusate signo’ – mi riferisce comounto – Vede ci stiamo organizzando.”

Sulla banchina, in attesa del treno per Pozzuoli, mi complimento con l’ addetta alle pulizie, una signora di mezz’eta’, viso alla Tina Pica, grembiulone gualcito e sigaretta pendula dalle labbra.

” Che bel sole, mi piace Napoli, voi tenete sempre il sorriso, non come da noi a Milano”

“Ma che ce ne facciamo del sorriso, qua stiamo disperati, non c’e’ lavoro. Io lo tengo qua ma sono quattro mesi che non mi pagano lo stipendio.meglio stare tristi e senza sole, ma con i soldi per campa’ “

SCRIVERE CON LO SMARTPHONE


Scrivere con lo Smartphone alla mia età é  come correre i cento metri insieme al nipotino di sei anni.

Napoli e’ ” tanta”, fantasiosa, barocca, affascinante, surrealista e sciantosa, sempre umana e gentile.

E’ una vera ex capitale, con la sua fierezza, pur nell’abbandono.

Per ora posso solo scrivere ” Me so’ ennammurate e Napule”.

PENSIERI ALLA PARTENZA


L’uomo che ha timore di iniziare un viaggio non è uno sciocco.

Ha ragionevolmente paura di lasciare i suoi affetti, le persone, gli ambienti, gli oggetti a lui cari.

Come se sospettasse che quello sia un preludio al suo lungo cammino senza ritorno.

Ho l’impressione che questo pensiero non sia adatto come pubblicità per un’agenzia viaggi.

Nonno Talpone alla vigilia della partenza in treno per Napoli.

ANGOSCE E VERGOGNA


Oggi è tutto calmo, il tempo non passa mai, la solita uscita per acquistare i giornali, qualche compera al supermercato, una sbirciatina e due parole con l’amico della bancarella dei libri usati.

Niente giro al mercato ambulante di frutta e verdura oggi, siamo rimasti in due, abbiamo rifornimenti per una settimana.

Non parliamo delle scorte di carne, formaggi, uova e delle numerose vaschette nel frigorifero, contenenti sughi, brodo e minestrone, arrosti, frittate, zamponi cotti, bolliti e altre cose che ora non rammento.

La famiglia allargata è sempre rifugiata nel lazzaretto di Cinisello dagli altri nonni, tutti ammalati, costipati, febbricitanti, una bolgia di mal di gola e bronchiti.

Poverini.

A proposito, mi rendo conto che oggi non li ho ancora sentiti.

Il promettente avvocato non mi risponde al cellulare, sarà come sempre impegnatissimo in ufficio, al solito dieci, dodici ore di lavoro stressante, senza tregua, da schiavo in catena, ma in completo blu scuro e cravatta.

Che tempi!

Come l’altro lassù al nord, che lavora fino alle nove, dieci di sera.

Mi dico sottovoce che sembra debbano per contrappasso scontare il disimpegno lavorativo del padre, che le parole restino tra noi.

La figlia acquisita, grazie al matrimonio con lo schiavo prima nominato, mi risponde al secondo tentativo.

E’ trillante e allegra come un fringuello, anche se è appena guarita, sia pur con qualche postumo influenzale, anche lei al lavoro, lui invece finalmente ha ceduto e ora è a casa con la febbre.

Tutti al lavoro, che diamine !

Ma si sa, siamo a Milano.

E poi non bisogna lamentarsi adesso, con la crisi che c’è …

Io sono pensionato da dodici anni, posso parlare e criticare, salvo lamentarmi che ad ogni anno che passa i miei soldi diminuiscono.

Ma oggi mi sento indifferente, quasi beffardo, direi stoico.

Diciamo che in realtà sono rassegnato, se qualcosa non cambia, tra dieci anni, se sarò ancora vivo, farò il Barbapedanna.

Senza chitarrone, non ho mai imparato a suonare, ma mi vedo già in giro con un blocchetto di post gialli, su cui scrivere con un pennarello rosso poesiole giocose o saggi pensieri da pirla, da regalare ai passeggeri della metropolitana, poi passerò con il mio vecchio tubino inglese, chissà forse la cosa funzionerebbe.

Basta, invece sono preoccupato per quello che succede ai miei maschietti.

Finalmente lui, il mio piccolo, il mio promettente avvocato, il padre dei miei gloriosi nipotini, mi risponde con un vocione roco.

“ Ciao papà !”

Subito mi scateno : “ Come state? Ancora la febbre? Ma il medico cosa dice? Avete bisogno di cibo, bevande, acuisti in farmacia, consigli, soldi, commissioni urgenti, pagamento di bollettini postali, multe? Dimmi, se c’è qualcosa che posso fare, io mi posso liberare da ogni impegno, conta su di me”

“ Papà grazie, no, qua siamo tutti ammalati ma ce la caviamo. Pensavo però che se vuoi domani veniamo tutti a casa tua”

“ Come a casa? Da me intendi? Ma se siete pieni di virus, vuoi farmi ammalare? Proprio adesso che ho prenotato il viaggio a Napoli, cinque giorni, tutto già pagato, albergo tre stelle, treno Italo veloce, mica il solito Intercity.  Solo che per risparmiare ho acquistato i biglietti scontati, tipo last minute, senza possibilità di recesso.

Io vi vorrei, non mi importa di ammalarmi ancora, oh avervi vicino, ma, ma … martedì dobbiamo partire per quel viaggio lontano, non vorrei ammalarmi, mi capisci?”

“ Va bene papà, credevo che anche la mamma mi volesse per la solita settimana da voi, non vorrei che si offendesse …”

“ No caro, vi vogliamo, ma ora, capisci, il viaggio a Napoli … Ciao, ti telefonerò ogni giorno, guarite, mi raccomando!”

Ecco, diciamolo, sono terrorizzato dall’influenza, l’ho già avuta dopo Natale, mia moglie all’ultimo dell’anno.

Capite, i nostri viaggi, quelli che sognavamo di fare, dal tour completo della Cina ci siamo ridotti al safari economico in Africa, poi alla settimana a New York, restringendoci al weekend lungo a Lisbona in bassissima stagione.

Ora siamo al tour giù a Napoli.

Sento in fondo al cuore che tutto forse si ridurrà ancora in un fine settimana a Terni, la perla della Conca, flagellata dalla pioggia e dal gelo.

Mi sento ugualmente un padre sciagurato, ho i rimorsi di coscienza.

Peccatore, ecco cosa sono, vergogna!

Poi perché Napoli? Da anni non ci vado più, cosa troverò laggiù?

Dicono che la prossima settimana avremo nevicate, devo portare gli scarponi pesanti da montagna?      Magari anche il mio vecchio colbacco di pelo con la stella rossa, ricordo di Mosca, bei tempi, ho ancora presente lo scambio furtivo della borsetta di plastica, omaggio dell’Intertourist, con quel caldo berrettone.

E il Vesuvio ? Non entrerà in eruzione quando saremo laggiù? Non si sa mai, dicono “ vedi Napoli e poi muori “, non ricordo quando ci fu la famosa eruzione di Plinio il Vecchio, sarà forse avvenuta a febbraio?

Mentre cerco informazioni tra i libri di storia sento che la mia Istrice mi sta chiamando : “ Sbrigati, dobbiamo andare in palestra, io sono già pronta, mettiti la tuta!”

“No guarda, adesso sono impegnatissimo, ho dei problemi da risolvere”

“ Smettila, niente scuse, dai pigrone, ti conosco, forza, ci stanno aspettando”

Mi alzo affannato, cercando scarpette, magliette e borsone, non mi ricordo più quale era il problema.

Non importa, so di essere fortunato di avere una graziosa terapista della riabilitazione a domicilio, il resto non conta.

ADDIO, ANZI CIAO


Da sabato scorso sarebbe dovuto avvenire il sospirato allargamento settimanale della famiglia di nonno Talpone, con l’arrivo degli Avvocati e i loro graziosi bambini, profughi raminghi da due mesi per i lavori edilizi della loro casa di Wisteria Lane.

L’influenza virale che sta colpendo un terzo degli Italiani li ha bloccati dagli altri nonni, creandovi un piccolo lazzaretto e lasciandoci sani, ma soli.

Dopo l’ultimo post, in cui salutavo nel ricordo un mio caro amico, mi è capitato di leggere sul Corriere di domenica un articolo di Luca Bottura sull’abuso del ciao funebre, così titolato: “ E’ di moda salutare i defunti con falsa familiarità. Così i media dimostrano la loro inerzia mentale”.

Un vecchio signore permaloso, nonno Talpone intendo, l’aveva preso come un affronto personale, ma un’attenta lettura l’ha convinto poi che quel riferimento alla sciatteria e allo stupidario del gergo comune dei media era abbastanza giustificabile.

Non si possono invece accettare le conclusioni con la proposta semiseria di una moratoria del ciao mortuario, per arrivare all’indicibile verità che “ Il Tizio è morto”.

E’ incontrovertibile la differenza tra morti e vivi, ma il cervello umano ha spesso delle convinzioni personali, impressioni, sentimenti, fantasie, sogni, allucinazioni che contrastano con la realtà oggettiva.

Per questo non credo di essere il solo ad avere con le persone amate che non ci sono più un rapporto difficile da spiegare, talvolta in una dimensione diversa, quasi parallela, in uno stato di reverie, come in un sogno, in cui i ricordi sono così intensi da sovrapporsi al reale quotidiano.

Bisogna anche ammettere che più invecchiamo e maggiore è la vivacità delle immagini del passato, con uno struggimento di considerevole entità.

Domenica è mancata la mamma di un vecchio amico, aveva 96 anni, da circa un mese si era ridotta ad uno stato quasi vegetativo, è trapassata quasi accorgersi, ma questo ha sconvolto ugualmente tutti quelli che l’avevano conosciuta e amata.

Era una donna di enorme dolcezza, che a me dodicenne aveva particolarmente colpito, anche perché da un paio d’anni era morta mia madre.

Quella donna possedeva un carattere positivo e brillante, aveva una passione per il gioco del pocker, mi stupiva che allora uscisse quasi ogni sera per una partitina con le amiche.

Fino a una decina di anni fa trovava ancora la compagnia per giocare, asseriva che avrebbe voluto un mazzo di carte anche nella bara.

Oggi al suo funerale ricordavo questa sua battuta al figlio, lui mi ha sorriso complice, abbassando la voce, tra la folla dei parenti, mi ha detto “ L’ho accontentata sai, le ho messo dentro un mazzo da pocker !”

Un omaggio affettuoso, più pertinente di un mazzo di fiori.

Addio signora Fosca, la sua immagine non svanirà.

Tornando a casa, svagato e pensieroso, ho acquistato una dozzina di bulbi fioriti di Nasturzi gialli per la mia Istrice e due vasi di Elleboro dalle bianche corolle.

Altri ricordi questi, di incredibili ammassi fiori che spuntavano tra le chiazze di neve, in quella gita tra le Prealpi.

Era la prima visita a Milano della mia bella romanina, quarantatre anni fa.

Quella grazia di colori, quella perfezione di forme, quel suo profumo che mi conquista ancora, i fiori sono diversamente uguali, lei ugualmente desiderabile.

Non so, lo chiamano amore.

IL MOSCATO


Il vino Moscato Bianco, dal colore tenuamente paglierino, ha un sapore deliziosamente intenso, dolce, aromatico, con un nome, un’aurea, forse retrò, ma per me inconfondibile, da assaporare a piccoli sorsi golosi, lentamente, concentrati, con la mente aperta ad ogni fantasia e suggestione.

Mi ha fatto molto piacere che ad una mia lettrice, due volte teneramente mamma, questo vino susciti commossi ricordi di suo nonno, ben vivo nella sua memoria, quindi ancora presente tra noi.

Personalmente quel gusto raro, amabile, zuccherino del vino Moscato, le cui gocce mielose sembrano trattenere i ricordi dei momenti felici in cui lo si è gustato, mi fa tornare ai tempi dei miei vent’anni, quando si girovagava per tutta la notte a Milano, lungo i Navigli e soprattutto per Corso Garibaldi, in visita pastorale etilica tra i vari bar e osterie, in compagnia dei tanti amici di allora, incontrandone talvolta di nuovi in ogni locale, discutendo, ridendo, proclamando le proprie brillanti idee, elaborando piani rivoluzionari e arditi, che avrebbero migliorato la nostra società, che sarebbero poi sfumati e irrisi negli anni seguenti.

Vi era in quell’animato corso milanese una piccola enoteca, il bar Moscatelli credo, in cui il bizzarro oste imponeva ai giovani avventori, come un maestro paziente e perseverante, la degustazione di calici del suo prezioso Moscato.

Noi giovani, ingordi nelle parole come nelle bevute, affrettati, ilari ed incoscienti, scoprivamo in tal modo in quello stretto locale, con tre tavolini e il lucido bancone di acciaio, un inaspettato momento di pausa, di amabile riflessione, persi come in ascolto di una nuova fascinosa armonia.

Molto più tardi, ormai padre di due bambini, ho conosciuto un gentile signore piemontese, originario dell’alto Monferrato, i cui figli erano compagni di scuola dei miei.

E’ nata tra noi un’amicizia radicata e profonda, fatta di stima e di poche parole, i piemontesi, si sa, hanno un loro modo schivo e quasi timoroso di mostrare i propri sentimenti.

Questo signore alto, dinoccolato e magro, con un sorriso gentile e triste, che mi ricordava Yves Montand, si occupava di auto, ma aveva avuto in eredità dal padre una bella vigna, che cercava di curare con passione, lassù tra quelle arrotondate colline che schermavano la vista del Po.

Lunghi filari di viti, in una zona sempre più abbandonate all’incuria; l’agricoltura non dà pane e richiede continue fatiche.

Amavo andarlo a trovare anche lassù, nella sua casetta annegata tra le vigne, cercavo di essere presente alla vendemmia, eseguita personalmente insieme ad altri pochi amici.

Era una festa antica del lavoro, la schiena piegata a raccogliere i grossi grappoli d’uva, i secchi scaricati nelle profonde gerle a spalla, il bigoncio trainato dal trattore, l’accompagnamento al magazzino, dove la diraspatrice sbranava, torceva, incanalava il mosto torbido negli alti tini di vetroresina, spandendo intorno un profumo intenso che inebriava.

A parte si raccoglievano con delicatezza i grappoli di Moscato, si posavano in una bassa tinozza, si pestavano con i piedi e il mosto veniva versato nella grande damigiana attraverso larghi imbuti dotati di filtri di carta.

Il Moscato andava curato con amorevole attenzione, come se fosse un prezioso Champagne.

Le poche bottiglie ottenute erano una prelibatezza da far gustare alla sua vecchia madre, non dimenticando noi amici.

Il tempo è passato, lei, persino lui, ormai non ci sono più, se non nel piccolo cimitero di quel paesetto solo, perso tra le colline.

Ma per me non sono assenti, no, assolutamente.

Talvolta mi capita di annusare un calice di Moscato, la sua fragranza sembra evocarli magicamente dai ricordi del passato.

Assaporo quel vino delizioso a piccoli sorsi, con tranquillità e attenzione, vi assicuro che allora riesco ancora ascoltare le loro voci, li sento vicino a me, in un tremolio di ricordi che non avrà mai fine.

Se ora, mentre scrivo queste poche righe, mi si inumidiscono stupidamente gli occhi non mi importa, non mi vergogno per niente, agli anziani come ai bambini non puoi vietare di piangere facilmente.

Ciao Renato.

ASILO 2


“ B.A.R.B.E.R.A. … BARBERA!”

“ Bravo Scoiattolino! Come hai letto bene l’etichetta della bottiglia, sei in prima elementare e leggi benissimo !”

Eravamo tutti a tavola una decina di giorni fa, accanto a me sedeva il mio ricciuto nipotino che, nonostante stesse golosamente gustando la sua abbondante razione di gnocchi al ragù, aveva voluto ampliare le sua conoscenze culturali leggendo quanto aveva davanti agli occhi.

“ S.A.N. B.E.N.E.D.E.T.T.O. … SAN BENEDETTO!”

“ Eh no, quella è acqua, stanne lontano! Adesso ti porto altre bottiglie da bere … no, volevo dire da leggere, Prosecco,Ortrugo, Chianti, Tockai. Ecco, vedi, potresti anche imparare le lingue straniere : Bordeaux, Chablis, Weiss Traminer …

Se poi tu li potessi assaporare … saresti in grado di esplorare un mondo senza confini, nuove sensazioni, impressioni, emozioni … parlare, descrivere, narrare all’infinito.”

“ Smettila papà, i bambini non devono bere vino, almeno fino a diciott’anni, altrimenti può far male al loro cervello – così era intervenuto bruscamente il suo papà, il promettente avvocato, momentaneamente dimentico dei suoi passati giovanili.

“ Figuriamoci ! – non avevo potuto contenermi, da vecchio nonno e pater familias, per quel che vale oggidì – Io bevevo qualche mezzo bicchiere fin da piccolo, a quindici anni presi la mia prima sbronza con una bottiglia di pessimo ed economico Rum Jamaica, ero con il mio più caro amico, ora rinomato e brillante psichiatra. Il vino non mi ha fatto male!”

“ Infatti si vedono le conseguenze ! – ha chiuso beffardo l’ingrato figliolo.

Tutti a tavola avevano riso, ora al pensiero sorrido anch’io.

Penso che i ricordi siano un dolce asilo.

In quanto all’aiuto del web, della rete di internet, ringrazio la singola lettrice per le sue parole di ieri, che si sono sommate a ben 26 commenti sul blog, per quanto purtroppo classificati come spam, in quanto mi chiedevano di giocare al casinò, di fare donazioni, di partecipare a club privè e di acquistare viagra a prezzi scontati.