RITORNO IN ITAGLIA


E’ stata senz’altro un’esperienza anomala, difficile da interpretare, questo rapido viaggio a Parigi di nonno Talpone e sua moglie.

Erano abitati a periodi, anche lunghi, passati in Umbria o in Inghilterra, ove risiedono i parenti, alle vacanze con i nipotini al mare.

Qualche anniversario di matrimonio in capitali estere con viaggi organizzati, ma questo breve assaggio di uscita in libertà l’ha prima impaurito come al solito, poi l’ha stupito e reso perplesso.

La Parigi dai grandi spazi, dal senso gioioso e moderno di godere la vita l’ha riportato indietro di 50 anni, all’epoca della sua prima fuga solitaria da Milano, dalla routine di un lavoro sicuro, dal senso di benessere borghese che gli era stato imposto.

Ancora 30 anni fa vi era ritornato in treno con la giovane famiglia, lo sbarco alla gare de Lyon, le lunghe frenetiche camminate tra giardini e musei, trasportando spesso il figlio più piccolo sulle spalle, ove si addormentava, ignaro di quei boulevard meravigliosi e senza fine.

Ora nonno Talpone si è stupito della lunghezza di quei percorsi, dell’energia che disponeva nel visitare e ammirare tutto il possibile.

Ora, sotto la pioggia continua di questa strana vacanza, risente della fatica, dei dolori alla schiena e al ginocchio, irritato per la sua fragilità e gli rode la nostalgia dei nipotini lontani.

Poi, passati un paio di giorni, l’ha rianimato la scoperta della gioia di vivere dei parigini, il piacere dei bistrò ove bere, mangiare, leggere senza problemi e con poca spesa, gli incontri multiculturali possibili, la gentilezza, la pulizia, l’ordine e la funzionalità.

Come vorrebbe avere la forza di accompagnare lo Scoiattolino e il Polipetto alla scoperta di questo mondo.

Poi è venuto il momento della partenza e all’uscita dell’aeroporto della Malpensa, mentre attraversava tranquillamente le strisce pedonali, nonno Talpone  stava per essere investito da un autobus pubblico, l’autista guidava veloce salutando un collega e guardando dall’altra parte.

Si era tornati in Itaglia.

HANID E UN SENSO DELLA VITA


Nonno Talpone sta per  andare all’aereoporto, ma vuole lasciare questa piccola fiaba per i suoi lettori, ringraziandoli per il loro affetto.

 

Un giorno, quando nell’intervallo pomeridiano i bambini potevano giocare nel cortile, Pamock e Hanid si ritrovarono nel loro angolo nascosto per parlare e raccontare le loro storie.

Il bruno Hanid era ancora vergognoso di aver mostrato paura dei fantasmi e volle raccontare lui stesso una strana avventura che aveva sentito ripetere nel suo lontano villaggio al di là del mare.

“ C’era una volta un valoroso soldato, Mohamed al Backar, giovane forte e coraggioso, che per i suoi meriti aveva ricevuto un’alta carica a palazzo ed era benvoluto dal Califfo del paese.

Ma la sua improvvisa fortuna l’aveva reso orgoglioso e arrogante, cominciò a disprezzare ogni persona o animale che gli pareva non avere senso o utilità, come i pazzi, i tafani o quei ragni che insieme alla polvere insudiciano le stanze degli uomini.

La sua superbia gli causò molti nemici, il Gran Ciambellano per rovinarlo rubò il piccolo forziere contenente le più pregiate collane, pietre ed anelli del Califfo, lo nascose nella fessura di una roccia fuori dalle mura e lasciò alcuni preziosi di minor valore nella camera di Mohamed.

Il furto creò uno scandalo inaudito a corte, si fecero ricerche in ogni stanza del palazzo e, quando le guardie scoprirono i gioielli tra i vestiti del capitano, subito lo arrestarono.

Mentre lo stavano trascinando dal Sultano per la giusta punizione, passando vicino al banco del macellaio del palazzo furono improvvisamente assaliti da un nugolo di tafani inferociti.

Subito si agitarono come forsennati, divincolandosi e scappando, mentre Mohammed ne approfittava per divincolarsi e fuggire via.

Uscito fortunosamente dalla città, corse nella campagna deserta e, arrivato in una cava di pietre, scovò un piccolo cunicolo in cui entrare per cercare rifugio.

Vi si trovavano due ragni che, forse per pietà del fuggiasco, o per riparare le loro tele strappate, ritesserono le loro fitte tele.

Quando i soldati all’inseguimento del prigioniero passarono lì vicino, videro l’apertura, ma le tele di ragno li convinsero a cercare altrove.

Dopo un giorno e una notte passate nel suo piccolo rifugio, Mohammed ringraziò mentalmente i ragni e i tafani per l’aiuto prestato e fuggì lontano.

Mentre passava per luoghi deserti fu però sorpreso da un gruppo di banditi che trasportavano delle persone catturate per essere vendute come schiavi.

Lui si finse subito pazzo, aveva i vestiti laceri, la barba e i capelli irsuti e sporchi, quando si mise a sbavare, a lanciare grida gutturali e strillare come una scimmia della foresta i predoni schifati lo cacciarono via a colpi di pietre.

Mohammed ringraziò mentalmente la presenza al mondo dei folli, ritornò nelle campagne, si lavò ad un ruscello, si alleggerì degli abiti portati e quando vide un capraio con il suo gregge gli chiese umilmente del cibo.

Il brav’uomo lo sfamò, poi impietosito lo tenne con sé per aiutarlo a curare le sue bestie, cosa che il fuggiasco si adattò a svolgere con grande attenzione.

Dopo qualche mese il capraio acquistò altro bestiame e ne affidò una parte al suo aiutante, che si spostò nelle vicinanze, cercando sempre luoghi isolati e solitari.

Il lavoro non era faticoso, ma Mohamed mancava di esperienza e nel branco vi era  un caprone bellicoso e malvagio, che non mancava mai di cercare di colpirlo appena lui si distraeva.

Un giorno, spazientito, il giovane guardiano pensò di dargli una lezione esemplare.

Si accampò vicino ad un gruppo di rocce, ne scelse una abbastanza grande e finse di volersi accucciare voltando la schiena al gregge.

Il caprone subito lo puntò e gli corse addosso velocissimo a capo abbassato per incornarlo.

Ma quando era ormai vicinissimo Mohammed scartò di lato e il caprone diede una gran testata conto la roccia, cadendo indietro tramortito.

Si era udito un gran schianto con caduta di pietre, timoroso che la bestia si fosse spaccata la testa, lui andò a vedere da vicino.

Il caprone era indolenzito ma vivo, si era rivelata invece un’apertura nella roccia ove si intravedeva uno scrigno dorato, quello rubato al Califfo.

Allora Mohammed radunò il gregge e ritornò dal suo amico capraio, raccontò l’accaduto e insieme avvisarono gli altri pastori della zona per tendere una trappola quando fosse ritornato il vero ladro.

Per varie notti aspettarono nascosti fino a quando videro una figura avvolta in un mantello che si avvicinava furtivo.

Quando questa si accostò alle pietre e vi inserì una mano, gli furono subito addosso e lo legarono con delle funi, mentre alla luce delle torce si mostrava la faccia atterrita del Ciambellano.

L’indomani mattina un folto corteo di pecorai e caprai con i loro greggi, tenendo ben stretto il colpevole e guidati da un Mohammed trionfante, che recava tra le braccia il tesoro recuperato, si avvicinò alla città, varcò le porte e passò tra due ali di folla stupita ed ammirata, entrò nel palazzo del Sultano per deporre ai suoi piedi il tesoro recuperato e l’infedele suddito.

Grandi feste e nuovi onori per il valoroso Mohammed, che da allora imparò ad essere umile e tollerante, anche i caprai ebbero monete d’oro in dono e la possibilità di entrare come guardie del palazzo.

Questo corpo armato scelto, da lui capitanato, ebbe sulle insegne e sugli scudi le figure di due ragni, di sette tafani  e il volto di un folle.

Da allora nessuno osò più dire che al mondo vi fossero cose inutili, perché ogni cosa può avere un senso, anche se noi ora lo ignoriamo.”

Pamock sorrise felice e batté le mani complimentandosi con Hanid per la sua storia meravigliosa.

SEPARAZIONI E MALATTIE


Il piccolo Scoiattolino ha da giorni una tosse insistente e logorante, qualche linea di febbre, forse di origine virale, ma è stato felice di stare a casa con i nonni.

Il fratellino Polipetto, invidioso della sua posizione privilegiata, si è rifiutato di andare all’asilo e , data la sua fermezza di origine martellesca ( che dio assista i suoi poveri genitori ), naturalmente ha vinto sempre.

Anche nonno Talpone da giorni soffre di mal di stomaco, continua l’uso di antibiotici, Buscopan, patate bollite e acqua, ma quando si trovava in compagnia dei nipotini si è sempre divertito in modo fanciullesco.

Giocare una giornata intera è un privilegio, faticoso magari, ma sempre meglio degli sforzi muscolari in piscina o in palestra.

Oltretutto è gratuito.

Non poter uscire di casa naturalmente può essere limitante, ma non ci si è mai annoiati.

I loro bellissimi galeoni dei pirati, i Lego di Harry Potter con relativo castello e trenino, il Jumbo gigante cabinato con passeggeri sono giocattoli estremamente costosi e affascinanti da ammirare, ma sembrano servire più ai padri che ai figli.

Nonno Talpone ricorda perfettamente che il figlio promettente avvocato aveva acquistato per il piccolo, quando questi aveva meno di due anni, un’autopista da formula uno, una mini ferrovia elettrica, una gru gigante e un’auto telecomandata, che in realtà lui usava spudoratamente con i suoi amici trentacinquenni.

A noi piccoli bastano una decina di cuscini, un paio di spade di plastica, qualche sedia, due coperte, scatole di cartone, spiccioli di monete oltre a qualche altro oggetto casalingo per improvvisare decine di giochi fantasiosi e scatenati.

Il treno di sedie che percorre la prateria degli indiani, la tenda dove ripararsi sotto la tempesta, la scatola del tesoro nascosto, l’assalto al vascello spagnolo, il duello tra Peter Pan e Capitan Uncino, la cucina del ristorante, le bastonate sul nonno e relativi bernoccoli su cui lanciarsi a tuffo, le battaglie a cavallo, il palazzo del sindaco Pisapia, la guerra sulle astronavi che lanciano missili cuscini.

Tutto o quasi messo a posto prima del ritorno a casa di mamma.

Ma alla sera arriva l’ora della partenza, ci si lascia sempre con un po’ di magone.

Ma suvvia bisogna confessarlo : domani nonno Talpone e consorte voleranno a Parigi per una vacanza di quattro giorni, gentilmente offerta come regalo dal figlio avvocato.

I due piccoli con i genitori quasi nello stesso periodo voleranno a Brighton dallo zio Martello di dio.

Non so se vi siano persone che, con una certa dietrologia, potrebbero supporre una losca manovra di separazione tra nonni e nipoti.

Con altrettanta malignità si potrebbe anche sostenere che il mal di stomaco dell’anziano e la tosse parossistica del giovanissimo Scoiattolino possano essere di origine psicosomatica.

Ma noi non vogliamo cadere in simili pettegolezzi, i due malati restano con i loro dolori, quale che sia la loro origine, quando si ritroveranno saranno senz’altro guariti e felici.

ALCUNI FATTI IN BREVE


A mezzogiorno rammentare con acuta nostalgia il luculliano pranzo di Pasqua in Umbria e ridursi a mangiare pane e formaggio.

Alla sera a cena, al ritorno della sua Istrice, scoprire che in fondo al frigorifero, ben coperti e nascosti, vi erano contenitori contenenti paté di fegatini all’umbra, porzioni di arrosto tartufato, prosciutto e salami affettati.

Passare una piacevole giornata con il nipotino influenzato, avendo portato in regalo un DVD di Pingu, visto tre volte di fila, e incominciare ad esprimersi in quello strano linguaggio gutturale svedese-pinguinesco, senza riuscire a smettere.

Andare a visitare stamattina la zia novantenne, l’unica che gli parla come un bambino di sei anni e tornare a casa con un tremendo mal di stomaco, esattamente come avveniva in quei tempi lontani.

A cena, mentre l’Istrice assapora cibi gustosi e beve dell’ottimo Pinot Nero, essere ridotto a un piatto di riso scondito e acqua.

Ridursi a pensare, per consolarsi, di essere un vietcong nascosto nella giungla, che apre furtivo la sua foglia di banano, contenente un pugno di riso bollito, sicuro della vittoria finale.

Di sicuro per ora solo la borsa dell’acqua calda sullo stomaco e le compresse di Buscopan.

ANCHE GLI OPERAI TI PORTANO IN PARADISO


Era proprio bravo nonno Talpone, appena diventato maggiorenne, a pontificare su come superare le piccole contrarietà quotidiane, come guardare la vita con occhi diversi.

Era tornato a casa spompato dalle sole 20 vasche della lezione di nuoto, sotto una pioggia uggiosa che non voleva finire mai,  che si adattava perfidamente a tutta l’acqua che aveva ingurgitato quando aveva cercato di respirare abbozzando una specie di stile libero.

La casa vuota, perché la sua Istrice si trovava per tutta la giornata all’università.

Si è guardato attorno tutto in grugnito e affamato, era preso da un tormentoso dilemma, aprire una scatoletta di tonno o una di carne in scatola ?

L’idea di farsi una frittata, anzi diciamo di girarla nella padella, lo sgomentava.

Se, come gli era accaduto troppo sovente, gli fosse caduta in terra o sui piedi ?

Ahimè, che dolci ricordi quelli della Pasqua in Umbria, specialmente quella domenica passata meravigliosamente a tavola di un ristorante della Val Nerina, in un piccolo  paese,  ove  sono anche custodite le mummie di quelli che stavano così bene, che vi sono rimasti incorrotti per secoli.

Avranno mangiato così saporitamente anche loro ?

Di certo il cuoco di quel ristorante così rinomato è un artista, un ex operaio delle Acciaierie di Terni.

Molto tempo fa per l’intervallo del pranzo lui riusciva a prepararsi dei pasti così saporiti che una trentina di colleghi si accollarono il suo lavoro, purché cucinasse anche per loro.

Dopo qualche anno ebbe la temerarietà di licenziarsi per seguire il suo estro creativo, aprì un nudo punto di ristoro in un garage del suo paese, quattro tavoli sempre prenotati.

E’ poi passato via via da un locale più grande ad una villetta con un piccolo parco ove personalmente cura le sue specialità sempre diverse e raffinate.

Questo operaio sa veramente portarti in paradiso.

Affettati di lonzino e di prosciutto dagli aromi invitanti, pasticci di uova e pecorino, frittatine di erbe primaverili, il Cocco Re al tarufo, gli gnocchetti al sugo di anatra, le lombatine di vitello in crosta con tartufo e poi smetto perché mi sento svenire.

Ha poi deciso di aprire una scuola di giovani chef  per quei volonterosi che si volessero cimentare in quest’arte così terrena e godibile.

Non è un caso unico, altri operai hanno lasciato la fonderia per innalzarsi all’arte di fuochi più ridotti nei fornelli, sempre con risultati esemplari

Magica Umbria.

Talpone no, è nato lombardo e pasticcione, con l’esperta cuoca che ha sposato quando manca lei si ritrova allo stato delle scatolette.

Non potrà mai ambire a imparare qualcosa di buono.

Ma poi, con un soprassalto di orgoglio apre il frigorifero, ne trae il vassoio dei formaggi ed esclama:

“ Scatolette ?  Puah !”

GIORNATA DI COMPLEANNO


Alcune lettrici mi chiedono cosa ha fatto nonno Talpone durante il giorno del suo compleanno.

Ho dato uno sguardo al suo diario.

“ Mi sono reso conto di aver compiuto un anno, mi sento le forze di 24, ma il collo e la schiena mi rammentano un’età molto più tarda.

L’Istrice Prussiana ha lavorato al computer per le sue tesi, poi deve stirare, riposare e andare al suo concerto alla Scala.

Io mi defilo, passeggio sotto la pioggia, chiedo ricovero al figlio promettente avvocato, permesso accordato, anche con un invito a cena e sottinteso permesso di vedere i nipotini.

Porto una copia rilegata delle mie fiabe per loro, oltre ad averle raccontate a voce, se vorranno i genitori potranno leggergliele.

A casa loro tutto tranquillo, i piccoli disegnano e colorano con la mamma nella cameretta, il papà è tutto indaffarato e infarinato in cucina.

Ha preparato le tagliatelle all’uovo, il pane casareccio e, consultando il grosso libro delle guide in cucina di Repubblica, sta allestendo una cenetta con ravioloni alle seppie, mozzarella, fave e pomodorini ciliegini.

Poi arriva la madre, sgrida il marito perché si è sporcato i vestiti e anche il pavimento della cucina.

Incauto, in quel locale, ma non solo, regna solamente la moglie, anche perché, se lei rompe o sporca, nessuna la redarguisce.

Mi rifugio subito nella cameretta dei piccoli e inventiamo un nuovo gioco.

Loro fingono di essere dei sacchetti di farina, io la mamma che va al supermercato, se li carica in braccio, tredici kg il sacco grande, sei quello formato ridotto, li trasporta in sala, finge di bagnarli con l’acqua, li impasta per bene, ne fa lunghi rotoloni, li taglia a tocchettini ed ecco gli gnocchi sono pronti.

Fingo di mangiarli a bacetti.

“ Non puoi nonno, prima li devi cuocere in pentola !”

Con altri cuscini preparo il pentolone con l’acqua, metto un coperchio cuscino, conto fino a dieci, l’acqua è calda e così li posso sollevare di peso e buttarli sull’altro divano.

Ma mentre mi accingo a gustarmeli lo Scoiattolino strilla “Non hai messo il ragù e il parmigiano !”

Così devo prendere altri cuscini, mettere al fuoco un’altra pentola, aprire  e versare un cuscino scatola di pomodoro, buttarci un libro di sale, un altro di olio e basilico e carnina, una presa di peperoncino, versare il tutto sui due bambini e mangiarmeli a sazietà.

Lo Scoiattolino si preoccupa “ Nonno è troppo, diventi ciccione, mettine via una parte per domani “

Copro le gambe con coperchi cuscini, avrò da mangiare anche per il giorno dopo.

Il gioco li diverte così tanto che devo ripeterlo una ventina di volte, poi il piccolo Polipetto si stanca e scappa via prima di essere mangiato.

“ Accidenti al supermercato – grido io – mi hanno dato dei sacchetti di farina con le gambe, ora li devo prendere !”

Così iniziamo a correre tra camere e corridoio, loro ridono e mi sgusciano tra le mani come anguille, io li rincorro per la mia cenetta pantagruelica.

Una voce imperiosa della mamma “ Tutti a tavola, lavarsi le mani !”

Obbediamo tutti e a tavola troviamo pronti e fumanti i piatti di papà.

Ma dove sono gli gnocchi al ragù ?

Coro di proteste “ Vogliamo gli gnocchi, gli gnocchi, gli gnocchi !”

Loro calmano i bambini “ Non fate storie, mangiate tutto o non apriamo le uova di Pasqua con la sorpresa !”

Mugugni, tentativi di ribellione, ma la sorpresa dell’uovo di Pasqua è troppo invitante.

Finalmente ci arriviamo, buono il cioccolato e la sorpresa è un altro pupazzetto di Gordon Flash.

Si prepara una lotta di gruppo contro il cattivone Green Tree.

Si fa tardi, “ Nonno domani è mercoledì ?”

“ No è lunedì”

“ Ma ci vieni a prendere tu all’asilo ?”

“ No, tocca alla mamma, il mio turno è il mercoledì”

“ Nonno, puoi dormire con me nel lettino ?”

Sguardo circolare intorno, facce negative, “ No caro, la nonna forse mi aspetta e poi russerei troppo forte”

Rimetto le scarpe, bacioni e abbracci, poi via verso l’autobus che mi porterà verso a casa, piove, alla fermata aspetto vicino a due ragazzotti che parlano di gente dritta con macchinone, cavalli e ville in paesi tropicali.

Li guardo, sono vestiti in modo dimesso e noto una bici sgangherata appoggiata alla pensilina.

Sognare è bello e gratuito, io intanto calcolo le ore che mancano a mercoledì pomeriggio.

E se domani preparassi un buon ragù e acquistassi due confezioni di gnocchi rana ?

Ma mi rendo conto che sono solo un nonno e non la mamma, devo imparare a stare al mio posto.

 

BUON COMPLEANNO NONNO TALPONE !


Proprio così, non ci avrei mai scommesso, ma il mio amico nonno Talpone oggi compie un anno, cosa piuttosto singolare visto che la sua età anagrafica si aggira sui settanta.

Questa specie di ectoplasma, questo compagno bisbetico, collerico, ingenuo e bonaccione si è materializzato, sia pure virtualmente sulle pagine di un blog, proprio il 15 aprile 2011.

Come genitori generosi, sempre pazienti e disponibili ha avuto da una parte un trentenne londinese irruento e adorabile, con incomprensibile lavoro di supervisor di effetti speciali cinematografici, con un’insita ambizione di essere padre anche lui, sia pure con la futura adozione di due piccoli abbandonati negli asili, sia pure a Londra, perché in Italia santa madre chiesa non gli permetterebbe mai di creare una famiglia con suo marito irlandese e cattolico.

Dall’altra nonno Talpone ha avuto una madre molto elastica, una grande mamma reale ed indaffaratissima, oltre che da tre scatenati e adorabili maschietti, da un marito birraio per vocazione e professore di economia marxista a Londra, da un numero incredibile di impegni di lavoro e di partecipazione pubbliche, una donna che con incosciente leggerezza si ostina a dilatarli e moltiplicarli ulteriormente, fraintendendo l’impegno settimanale delle 36 ore part-time verticali con quelle normalmente disponibili nell’arco della giornata.

Il nonno che questi due trentenni hanno prodotto non poteva che essere definito perlomeno originale, svitato e controcorrente, senz’altro indegno delle loro capacità personali, ma lui ha ormai superato il primo anno di vita e intende andare sempre avanti verso l’avventura, con curiosità e attenzione, quella tipica di un anziano monello, arrancante e leggermente svanito.

Devo ammettere che nonno Talpone mi ha fatto molto compagnia, mi ha impegnato diverse ore nella giornata, ma mi ha anche divertito in modo incredibile.

Lui mi ha insegnato a vedere le piccole contrarietà quotidiane con una visione diversa e più sopportabile.

Ho l’ardire di ritenere che anche i miei lettori abbiano un loro personale Talpone, provate a scoprirlo, senza vergognarvi, a interrogarlo e ad osservare la vita con i suoi occhi, dovrebbe essere un’esperienza divertente.

Altrimenti pazienza, il mio amico nonno Talpone lo farà per voi.

Alla salute !

PAMOCK E IL FANTASMA FORMAGGINO ( fine )


“Beati loro, hanno la fortuna di essere in tanti a giocare, lottare, rotolarsi per terra e ruzzolare giù dai pendii erbosi – pensava il fantasma Formaggino, invidioso di tanta compagnia e libertà – nessuno li sgrida, nessuno li lava, che meraviglia !”

Poi si accorse che, appartato da tutti gli altri, in un angolo era accucciato un bambino dal viso gonfio e dai grandi occhi tristi, il gruppo lo evitava con evidente fastidio, perché quando lui cercava di muoversi i suoi movimenti erano scomposti e puerili, le sue parole smozzicate e gutturali.

Il fantasma Formaggino lo studiò a lungo incuriosito, poi si mosse dall’altra parte del cespuglio per vedere dove fosse finita la palla che un bambino con un gran calcio aveva mandato lontano.

Ad un tratto si sentì toccare e una voce stridula gli chiese:

“ Bambino buffo, chi sei ?”

Formaggino fece uno scarto improvviso, spaventato a morte, poi si accorse che era solo il ragazzino dal viso gonfio, che lo scrutava interessato con i suoi grandi occhi opachi e tristi.

“ So … sono un fantasma bambino, ma tu, tu non hai paura di me ?”

“ Perché bambino buffo ? No, ma tu puzzi proprio, lo sai ?”

“ Uffa … certo che lo so, me lo dicono sempre e per prendermi in giro mi chiamano fantasma Formaggino “

“ Bambino buffo, io mi chiamo Sandro, vuoi giocare con me ?”

Il piccolo fantasma si riprese dalla vergogna di essere proprio lui quello che si era spaventato, smise di arrossire e fu ben felice di aver finalmente trovato compagnia.

Si misero subito a giocare a nascondino tra i cespugli, a lanciare sassolini nello stagno, a raccogliere le foglie cadute, ridendo e scherzando felici.

Si misero anche  a correre tra le pozzanghere, rifacendosi il verso, con gridolini scomposti e gutturali.

Dopo alcune ore piccolo Sandro venne chiamato dalla sua mamma e dovette ritornare a casa, ma prima si scambiarono la promessa di rivedersi l’indomani.

Il fantasma Formaggino fu di parola e, invece di riposare nelle segrete del castello, di primo mattino fuggì fuori per incontrare il suo nuovo amico.

Nuovi giochi e scherzi, gridolini e risate gioiose, il piccolo Sandro aveva anche lui trovato finalmente un amico comprensivo e tollerante.

Non solo, da quel giorno nessun altro bambino del paese osò più schernirlo per le sue debolezze, altrimenti lui avrebbe chiamato subito il suo piccolo amico fantasma che li avrebbe spaventati a dovere.

Fece di più il saggio Sandro, portò fuori da casa un grosso pezzo di sapone da bucato, spiegò all’amico che non era un dolce da mangiare, ma serviva a pulirsi per bene, in modo che la povera mamma fantasma poté lavarlo a fondo, sempre che le riuscisse di afferrarlo in tempo per il bucato domenicale.

Gli rimase il soprannome di fantasma Formaggino, anche se l’odore del suo lenzuolo bianco grigiastro era molto migliorato, diciamo da Gongorzola ammuffito a Pecorino saporito.

Ma che importava l’odore e il colore del lenzuolino del suo compagno Formaggino, un vero amico è un grande amico e basta.”

“ Caro Pamock, questo fantasma non mi ha fatto per niente paura – asserì convinto Hanid – anzi mi ha fatto venire l’acquolina in bocca, come vorrei avere tra le mani un pezzo di formaggio Ackawi o Naboulsi, ma come posso trovare coraggio se incontro uno spettro vero, grande e cattivo ?”

PAMOCK E IL FANTASMA FORMAGGINO (1)


“ Come vorrei avere una scatola magica piena di caramelle – si lamentò Hanid con voce sognante – quando riusciremo a fuggire via da questo asilo andremo all’avventura, a cercare tesori e scatole magiche, vero amico mio ?”

“ La magia può essere più vicina di quello che pensi, lo diceva sempre mio nonno – rispose Pamock – ma ora è tardi, si fa buio “

“ Io non ho paura di niente – affermò deciso Hanid – anche se i fantasmi …”

“ Anche quelli possono essere amici – concluse Pamock – domani ti racconterò la storia del Fantasma Formaggino “

“ Ah, ah, quello che spalmi sul panino ?”

“ Non scherziamo, i fantasmi meritano rispetto, aspetta e vedrai “

L’indomani, quando i due bambini trovarono un cantuccio riservato, presso un vecchio cancello arrugginito del cortile, Pamock iniziò a raccontare.

“ C’era una volta, vicino ad un paese sulle montagne, un antico castello in rovina, torri mozzate, murature cadenti, grandi varchi e cumuli di pietre dove un tempo si ergeva superbo il palazzo del signorotto del luogo.

Nessuno si ricordava più il suo nome, le sue gesta, la sua discendenza; tra quei muri crollati rimaneva ostinatamente solo una numerosa famigliola di fantasmi.

E’ una vita monotona e noiosa quella dello spettro, deve solo apparire di notte per spaventare gli eventuali intrusi.

Ma al giorno d’oggi nessuno cerca più rifugio tra quelle rovine, ora si va in albergo, in un agriturismo o in campeggio.

Faceva parte di quella strana famiglia un piccolo fantasma, era gioioso e ribelle, sempre impegnato a correre tra le macerie e il bosco vicino, sporcandosi, lacerando la vestina bianca, pronto a scherzi e boccacce con tutti.

All’ora del bagno riusciva sempre a nascondersi in qualche pozzo, buca o anfratto polveroso, dopo inutili urla e richiami della mamma certe volte doveva intervenire il papà inferocito, a trarlo fuori dai suoi nascondigli e portarlo di persona nella tinozza da bucato, piena d’acqua calda e cenere per il lavaggio settimanale.

I fantasmi, si sa, sono emanazioni  di guerrieri defunti terribili e sanguinari o monaci e madame di altri tempi passati, devono per legge spaventare tutti i fifoni che incontrano, far rotolare catene, stridere i denti, ululare e sbeffeggiare i malcapitati che incontrano.

Una volta allontanati gli intrusi, loro ritornano alla loro noiosa quotidianità, girare cigolando di notte, andare a riposare prima del sorgere del sole, svegliarsi all’imbrunire, raccontarsi le solite storie ripetute all’infinito da secoli, farsi il bagno alla domenica mattina, qualche partita  a ramino, rammendi ai lenzuoli, inamidatura di polsiere e colletti.

Quindi, nonostante le apparenze e la credulità comune, rimangono dei soporiferi borghesi tradizionalisti e si può ben capire che l’atteggiamento ribelle del piccolo fantasma aveva suscitato pettegolezzi, richiami all’ordine e qualche rabbuffo.

L’inveterata abitudine di giocare tra vecchie pietre e fango, sporcandosi allegramente, con il tempo aveva prodotto incrostazioni che la povera mamma fantasma non riusciva più a togliere, per quanti sforzi facesse.

Si creava così un odore acuto e maleodorante, specialmente quando il piccolo si nascondeva i certi pozzi antichi, che era fastidioso come quello delle vecchie forme di formaggio andate a male.

Ormai nessuno si ricordava più il suo nome, lo chiamavano tutti “il Fantasma Formaggino”.

Il nostro etereo eroe, per sfuggire alla noia e ai riti domenicali, spesso si alzava di soppiatto di giorno, quando i suoi simili riposavano, e si avventurava lontano dalle rovine del castello, arrivando ad ammirare, nascosto tra i cespugli, i giochi chiassosi e violenti dei ragazzi del paese…

IL ROGO


Ieri sera, dopo un viaggio di sette ore in auto sotto una pioggia battente, è ritornato a Milano nonno Talpone, stanco, corrucciato e più bisbetico che mai.

Il fatto è che cinque viaggi su e giù per i tre piani della sua casa, trasportando pacchi e sacchi di cibarie che la sua Istrice Prussiana si ostina a voler trasferire dall’Umbria ad ogni vacanza, possono ragionevolmente indurre un onest’uomo a divorziare o a fuggire precipitosamente lassù tra gli eschimesi e le balene.

Pericoloso e inutile cercare una conversazione con lui, solo dopo essere sedato da una bottiglia di Barbera di Monleale e una del santo Tokaj ha rilasciato questa intervista.

“ L’Umbria mi ucciderà, lo so, non solo per la quantità di lavoro campestre che mi invoglia, anzi mi obbliga a svolgere, ma, come già detto in passato, per le pantagrueliche cene e pranzi conviviali a cui sono sempre obbligato a partecipare.

Mi scuso con i miei lettori per la lunga pausa di silenzio sul blog, ero in coma digestivo.

Qualche lavoretto e diverse cantatine però me le sono fatte.

Un giorno avevo dovuto raccogliere con forcone e rastrello tutte le spezzettature di rami che mio cognato aveva buttato intorno agli ulivi dopo la potatura.

Ero sudato e ansimante dopo il continuo saliscendi per la collina ripida e sassosa.

Avevo prudentemente portato nella buca in fondo al campo due innaffiatoi pieni d’acqua, un grosso estintore, pale, zappe e forconi.

Conoscendomi, non volevo imitare quell’anziano che due giorni prima nel bruciare le ramaglie aveva incendiato un bosco intero.

Quindi avevo ammonticchiato un piccolo monticello di rametti, vi avevo dato fuoco con vecchi giornali e con occhio vigile ne seguivo la combustione, aggiungendo altre spezzettature secondo il bisogno.

Ogni refolo di vento può essere pericoloso, occorre smorzare le fiamme più alte con la pala o rintuzzare le braci quando stanno per spegnersi.

Il fumo ti va sempre negli occhi, con gran fastidio e lacrimazioni, te li gonfia, anche se qualche animo salace afferma che faccia gli occhi più belli.

Però che noia, bruciare, scottarsi, piangere, cercavo di pensare a qualcosa di piacevole che mi distraesse, come al rogo medioevale di un eretico.

Ecco, mi figuravo già sul rogo in Campo dei Fiori, figura eroica e spavalda, che gridavo tra le fiamme “ Il mondo è rotondo e gira intorno al Sole !” oppure “ Tu madre chiesa torna evangelica e pura, lascia i predoni, le cavallette e i formigoni che ci depredano !”

“ Aho, ma che, parli da solu? Eh che, si mattu ?”

Mi sono girato stupito e lacrimante, con il forcone in mano e ho riconosciuto Quintilio, una conoscenza del villaggio, uno che da pensionato comunale si diverte a girare per le strade e i sentieri dei dintorni, raccogliendo per passatempo quello che trova: asparagi selvatici, fichi, funghi, noci, mele, vasi da fiori, così, secondo natura.

L’ho trovato molto invecchiato ultimamente, meno baldanzoso e ardito, il camminare molto deve far male, nonostante quello che scrivono i giornali, o forse sarà, a quello che dicono in paese, che qualcuno gli abbia bussato involontariamente, cose che capitano.

Con tutti i furti nelle case da parte di albanesi, rumeni e ragazzi con la dose da pagare, la gente in Umbria si è ormai fatta meno tollerante.

L’ho salutato piangendo e quello, prima di proseguire la sua passeggiata salutare, mi ha detto “ Ah Talpò, certu che alla nosstra età nun ce ressta che annà a piedi o ffa li lavuretti tui !”

Ma come, a me, affaticato e piangente, ma giovanile ed eroico assertore di verità e giustizia, messo alla pari del vecchiaccio ?

Sono ritornato al mio falò, ho buttato gran forconate di ramaglie e girando intorno ho cominciato a canticchiare “ Il mondo è rotondo e gira tutto a tondo, e mo’ brucio Primo e Secondo, poi brucio Tersiglio e Quartilio, ma non mi scappa di certo Quintilio. Brucia, brucia, perché il modo è tondo e tu brucia giù nel fondo !”

Devo confessare che non mi ero mai divertito tanto.