ADDIO, ANZI CIAO


Da sabato scorso sarebbe dovuto avvenire il sospirato allargamento settimanale della famiglia di nonno Talpone, con l’arrivo degli Avvocati e i loro graziosi bambini, profughi raminghi da due mesi per i lavori edilizi della loro casa di Wisteria Lane.

L’influenza virale che sta colpendo un terzo degli Italiani li ha bloccati dagli altri nonni, creandovi un piccolo lazzaretto e lasciandoci sani, ma soli.

Dopo l’ultimo post, in cui salutavo nel ricordo un mio caro amico, mi è capitato di leggere sul Corriere di domenica un articolo di Luca Bottura sull’abuso del ciao funebre, così titolato: “ E’ di moda salutare i defunti con falsa familiarità. Così i media dimostrano la loro inerzia mentale”.

Un vecchio signore permaloso, nonno Talpone intendo, l’aveva preso come un affronto personale, ma un’attenta lettura l’ha convinto poi che quel riferimento alla sciatteria e allo stupidario del gergo comune dei media era abbastanza giustificabile.

Non si possono invece accettare le conclusioni con la proposta semiseria di una moratoria del ciao mortuario, per arrivare all’indicibile verità che “ Il Tizio è morto”.

E’ incontrovertibile la differenza tra morti e vivi, ma il cervello umano ha spesso delle convinzioni personali, impressioni, sentimenti, fantasie, sogni, allucinazioni che contrastano con la realtà oggettiva.

Per questo non credo di essere il solo ad avere con le persone amate che non ci sono più un rapporto difficile da spiegare, talvolta in una dimensione diversa, quasi parallela, in uno stato di reverie, come in un sogno, in cui i ricordi sono così intensi da sovrapporsi al reale quotidiano.

Bisogna anche ammettere che più invecchiamo e maggiore è la vivacità delle immagini del passato, con uno struggimento di considerevole entità.

Domenica è mancata la mamma di un vecchio amico, aveva 96 anni, da circa un mese si era ridotta ad uno stato quasi vegetativo, è trapassata quasi accorgersi, ma questo ha sconvolto ugualmente tutti quelli che l’avevano conosciuta e amata.

Era una donna di enorme dolcezza, che a me dodicenne aveva particolarmente colpito, anche perché da un paio d’anni era morta mia madre.

Quella donna possedeva un carattere positivo e brillante, aveva una passione per il gioco del pocker, mi stupiva che allora uscisse quasi ogni sera per una partitina con le amiche.

Fino a una decina di anni fa trovava ancora la compagnia per giocare, asseriva che avrebbe voluto un mazzo di carte anche nella bara.

Oggi al suo funerale ricordavo questa sua battuta al figlio, lui mi ha sorriso complice, abbassando la voce, tra la folla dei parenti, mi ha detto “ L’ho accontentata sai, le ho messo dentro un mazzo da pocker !”

Un omaggio affettuoso, più pertinente di un mazzo di fiori.

Addio signora Fosca, la sua immagine non svanirà.

Tornando a casa, svagato e pensieroso, ho acquistato una dozzina di bulbi fioriti di Nasturzi gialli per la mia Istrice e due vasi di Elleboro dalle bianche corolle.

Altri ricordi questi, di incredibili ammassi fiori che spuntavano tra le chiazze di neve, in quella gita tra le Prealpi.

Era la prima visita a Milano della mia bella romanina, quarantatre anni fa.

Quella grazia di colori, quella perfezione di forme, quel suo profumo che mi conquista ancora, i fiori sono diversamente uguali, lei ugualmente desiderabile.

Non so, lo chiamano amore.