E’ finalmente caduta la neve a Milano, siamo tornati a casa da poco con una scarsa visibilità, con l’auto coperta di un tappeto soffice e biancastro, fa molto freddo, nonno Talpone con un moto di stizza involontaria si chiede ancora una volta perché deve farsi sempre chiamare “ nonno “, già la sua salute in questo periodo è stata messa a dura prova, ci manca questa parola “ nonno ”, che gli pare pesare come un ulteriore macigno sulle sue spalle di preteso giovin signore con un’insopprimibile voglia di fare, conoscere, sperare, ricercare le cose curiose di questo stranissimo mondo.
Ecco, ho citato ben tre volte quella parola che non volevo nominare, quella che stasera mi opprime leggermente.
Mi telefona il figlio brillante avvocato, chiede notizie dei nipotini che abbiamo lasciato mezz’ora fa nelle mani affettuose della loro mamma, non appena ritornata dal lavoro.
Già, anche oggi ci siamo goduti i piccoli ammalati, questi si scambiano i vari ceppi di influenza come fossero figurine da collezione.
Ci lamentavamo di non vederli più spesso ed ecco, grazie alle varie forme influenzali, ora è la seconda settimana che tra tosse, febbriciattole, doloretti al pancino possiamo stare insieme e giocare tutto il giorno, a casa nostra o nel loro appartamento.
E’ incredibile quanti passatempi nuovi si possono inventare insieme, quante recite improvvisate abbiamo organizzato, una commedia dell’arte puerile e primitiva, forse come era stata creata alla sua nascita nei tempi lontani.
Poi, quando ci si deve purtroppo lasciare, sorge qualche lamento e lacrimuccia, il piccolo Polipo l’altro giorno ha cercato perfino di nascondersi dietro le tende, sperando di essere dimenticato nella stanza dei giochi dei nonni.
Ci si abbraccia, bacetti e saluti “ A domani nonno Talpone”.
Chissà perché, quando è pronunciato dai nipotini, quel nome così impegnativo mi fa ringiovanire di sessant’anni.