Esiste ancora l’amore dopo i 70 anni?
Per me sì, in ogni età si può essere presi e sconvolti dall’Amore.
Non parlo di sesso in senso stretto, ma dall’emozione che ci sovrasta in modo preponderante e che rende secondaria ogni altra funzione cerebrale.
Certamente dopo molti anni che si sta insieme i sentimenti reciproci si evolvono e si moderano assai, dopotutto è passato mezzo secolo dal primo bacio fatale.
In effetti nelle nostre case si possono ascoltare ancora paroline dolci dalla nostra amata:
“ Amore mio piccolo!
Tesoro mio unico !
Come si fa a non volerti bene?”
Un osservatore superficiale potrebbe pensare che queste espressioni affettuose fossero rivolte al marito al compagno di vita, quello del “ fin che morte non vi separi “ e così via.
Ma avete già capito che sono rivolte invece al cagnetto , al gattino di casa, se non al criceto o al canarino.
Nonno Talpone è fortunato, la sua Istrice Amorosa si comporta diversamente dalle altre mogli.
Stamattina mentre usciva dalla porta per andare dalla parrucchiera gli ha detto con voce flautata:
“ Porti giù te i quattro sacchi della pattumiera, passerotto ?”
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PAPA’ E’ AL LAVORO MA TORNA
Da qualche tempo il posto di lavoro è un problema preoccupante per tutti, non solo per i giovani al primo impiego o per i cinquantenni che perdono improvvisamente il loro posto creduto sicuro, ma anche per quella classe di mezzo di specializzati tra i 30 e i 40 anni che devono adattarsi alle esigenze di chi vuole la loro esperienza e la loro duttilità, ma chiede anche di muoverli in posti più o meno lontani secondo la necessità.
Spesso le esigenze sono temporanee e il loro coniuge e i figli non possono seguirlo, per motivi vari : il posto di lavoro di chi rimane, la casa di proprietà, le scuole, o il supporto famigliare necessario.
Conosco molti figli di amici che per motivi di lavoro devono spostarsi e soggiornare all’estero o in città più o meno lontane, ritornando a casa solo il fine settimana.
Qualcuno sostiene che questo mette in crisi la famiglia e ne provoca la rottura insanabile.
Personalmente vi ho pensato molto, ma non penso che sia così; se il rapporto a due è basato su amore, rispetto e fiducia non basta la lontananza a dividere la coppia.
Se adesso sembra che l’impiego vada inseguito dove c’è e alle sue condizioni, non posso scordare che anche negli opulenti anni ’70 molti colleghi venivano al lavoro a Milano pur provenendo da lontane città, condividendo tra loro un piccolo alloggio, per ritornare a casa solo il venerdì sera.
Per non parlare di quelli che da giovane vedevo partire per la Francia, il Belgio, la Germania come emigranti e ritornare ai loro paesi solo per Natale, Pasqua e Ferragosto.
Quando ero ancora bambino ricordo che mio padre, tecnico di auto di formula 1, era spesso assente per una o due settimane, ma non per questo veniva a mancare a me o a mio fratello il senso della famiglia, che è stata sempre unita e affettuosamente partecipe fino alla morte precoce di mia madre.
E’ ben vero che un vecchio proverbio, troppo spesso citato, afferma che “ l’occasione fa l’uomo ladro “.
Ma bisogna essere ladri nell’animo o non sapere che cosa sia l’amore.
Purtroppo forse quest’ultima è l’amara verità.
CAMPERA’ CENT’ANNI
Alla fine nonno Talpone è riuscito a ritornare nella sua grande città con la Golf Gertrud, che nonostante scricchiolii vari e un certo ansimare nelle salite, si è mostrata ancora una volta teutonicamente affidabile.
In conclusione polli e talponi sono in salvo.
Magari è stato faticoso fare i tre piani a piedi con borse, pacchi e valige, scaramantico trovare un buco di parcheggio tra le strade in zona Loreto, ma quando si è giovani e ottimisti, diciamo incoscienti, tutto si può fare.
Alla sera, indossato il pigiama a righe, prima di infilarsi nelle fresche lenzuola, nonno Talpone ha chiesto in tono insinuante ed affettuoso alla sua dolce metà :
“ Chissà come ti sarai sentita tutte queste notti, sola nel letto ?”
“ Benissimo ! – è stata la pronta risposta – Nessuno mi tirava via le lenzuola nel rigirarsi e potevo finalmente dormire senza i tappi antirussamento.
Una vera meraviglia !”
Ecco, almeno sono sicuro che lei camperà cent’anni.
BASTONATE AMOROSE
“ Sai, ieri sera è morta la D. Era stata ricoverata in ospedale perché il suo tumore era così diffuso che non riusciva a respirare, ma non ce l’ha fatta, si è spenta subito. “
La notizia mi colpisce e mi fa male, da poche settimane eravamo stati messi a conoscenza del suo stato critico, un male insorto qualche anno fa, trascurato e nascosto, per vergogna, come se il tumore, “ Il brutto male “ fosse una colpa, un’azione malvagia che si compie, mentre invece la si subisce.
Male trascurato, perché la D. era una donna dolce, che aveva rifiutato di diventare parte di una coppia, per gioire e affrontare la vita con una persona amata.
La sua l’ha dedicata alla famiglia della sorella e dei suoi figli, come zia e come seconda mamma.
Una figura originale ai nostri giorni, tanto da voler continuare ad insegnare a scuola fino al limite d’età, mentre quelli vicino a lei avevano scelto la scorciatoia delle pensioni baby, trentenni ma con un vitalizio non esagerato ma facile.
Lei aveva pensato che le cure per la sua malattia potevano aspettare qualche mese, anche un anno, vi era la scuola e gli esami delle nipoti da seguire.
Addio esile e serena fanciulla, perché tale ti ricordo con tristezza.
Sono sempre i migliori che muoiono prima.
Questo detto comune mi appare ancora una volta sconvolgente.
Ma le tante carogne che conosco non muoiono mai ?
E’ stato il pensiero di un attimo mentre sono ancora al telefono e in tono affannato mi rivolgo alla mia Istrice Amorosa.
“ Ma tu come stai ? Tutto bene lì a Milano ?”
“ Benissimo perché ?”
“ Sono preoccupato, tu sei troppo buona e generosa, dovresti cambiare, che so, diventare acida e cattiva, sai camperesti di più, non voglio perderti. “
“ Se vuoi quando ritorni a Milano ti prendo a bastonate ! – è stata la sua serafica risposta.
“ Va bene amore mio, ma vorrei solo che fossero bastonate amorose. “
LA MAGIA DEL SABATO SERA
Il sabato sera ha in sé una certa magia, in fondo è un’implicita promessa di festa, di divertimento, di baldoria.
Poi passano gli anni e purtroppo le serate folli dei vent’anni, quelle passate in compagnia di un’incredibile numero di conoscenti e di amici, si riducono ormai a qualche cena in casa di uno o dell’altro, ad un film visto in coppia nel vicino cinema o a una tranquilla serata a casa propria, minestrina e televisione.
Questo sabato sera mi pareva vagamente che ci fosse in previsione una trattoria fuori porta a mangiar le rane e quindi non mi sono stupito quando alle sette ho visto mia moglie che si era cambiata l’abito e si truccava.
“ Quindi andiamo fuori a degustare le rane? – ho chiesto, alzandomi pigramente dalla poltrona con un libro tra le mani.
“ No, vado a teatro con quattro amiche , quelle di ginnastica, non ti ricordi?
Ma già, tu in palestra ormai ci vieni poco o niente.
Ti avevo anche detto che la cena delle rane ci sarà la prossima settimana, se c’è brutto tempo, altrimenti andremo a Casina d’Emilia con i nostri amici , il chirurgo e la moglie.
Non farmi ripetere sempre le stesse cose, guarda che è anche scritto sul calendario in cucina. – fa lei infastidita – Ti ho lasciato il minestrone e il bollito con i nervetti in frigo, io torno prima delle undici.”
L’abitudine di scribacchiare su quel calendario color paglia della famiglia meneghina, appeso sull’uscio dello sgabuzzino, nascosto dietro la porta della cucina, è una calamità costante che non capirò mai.
Abbiamo già il grosso frigorifero nascosto da decine di foglietti, poster e gualciti volantini, fermati fortunosamente da piccole calamite colorate, che occorre acquistare ad ogni viaggio, mostra o negozietto.
Tutte le pareti piastrellate invece sono oscurate da disegnini, acquarelli, foglietti di ogni forma e colore ricoperti da schizzi e artistici sgorbi prodotti degli amati nipotini.
La nostra cucina ricorda quei corridoi d’università con tabelloni in cui si mescolano confusamente proclami, disposizioni, offerte di corsi di yoga e di meditazione zen, proposte di scambi di libri e oggetti di ogni specie.
Quindi le decise affermazioni di mia moglie mi fanno rimanere piuttosto male, la carenza di memoria è sempre una cosa vergognosa, come la sordità senile o la dentiera che ti balla in bocca.
“ Me ne andrò fuori al ristorante –ho subito risposto indispettito, con un’aria di dignità offesa.
Così lei è uscita con una scia di profumo e io con un paio di vecchi pantaloni di fustagno e un corto gilet di piumino, determinato e altezzoso.
Sceso sotto casa nel buio umido della strada, ho lasciato che i piedi mi portassero avanti con un passo frettoloso verso una meta, di cui non avevo la minima idea.
Più tardi mi sono ritrovato tra le vie della periferia di Lambrate, in viali quasi deserti, con fari delle auto che schizzavano via intorno a me, tra una nebbiolina maleodorante e un’oscurità rotta ogni tanto da insegne di negozi chiusi e bar deserti in cui venivano calate le saracinesche.
Finalmente è apparsa la salvezza: un ristorante pizzeria arabo, con le vetrate opache ma luminescenti.
Una volta entrato mi sono ritrovato in mezzo a una lunga fila di persone di mezz’età che attendevano pazientemente di ritirare i cartoni di pizza da portare a casa, oltre loro si intravedeva uno stanzone con una decina di tavoli con tovaglie di plastica, su cui galleggiavano alcuni cestini di vimini con fette di pane, solitari mini confezioni di grissini, dei gruppi di olio-aceto-sale-pepe in metallo scrostato e qualche bicchiere con fiorellini di plastica opaca.
Mi hanno trovato un posto al tavolo degli avventori solitari, con un vicino che dormiva con la testa appoggiata al muro, davanti ad un piatto sporco di avanzi.
Ho ordinato in fretta un piatto di spaghetti alle vongole, che mi sono stati portati dopo tre minuti, insieme ad un quartino di vino acidulo.
La pasta tiepida sguazzava in un brodo abbondante con qualche vongola mestamente adagiata nel groviglio degli spaghetti.
Ho avuto anche l’incoscienza di ordinare in seguito una pizza, dal curioso nome che gli veniva dato nel menù plastificato che mi avevano portato, “ Mangia e Taci”.
Così ho ubbidientemente consumato in silenzio la mia cena del sabato sera delle meraviglie, di fronte ad un televisore megaschermo in cui si agitavano dietro ad un pallone degli uomini con magliette diversamente colorate.
La fila dei mangiatori di pizza si muoveva lentamente ma mutava poco la tipologia: giovani coppiette male in arnese, anziani sposini con cappotti e sciarponi, un paio di famigliole con piccoli rumorosi e urlanti, che ci passavano vicino e ci scrutavano incuriositi come allo zoo.
“ Mamma perché quel signore pelato ha il cestello del pane se mangia la pizza?”
“ Perché quello là dorme contro il muro, non ha una casa con il letto?”
Sbocconcellata in fretta la mia pizza piccante e oleosa, mi sono alzato, in qualche modo mi ero nutrito, non avevo nemmeno una parete su cui appoggiare la testa, se avessi potuto ignorare il brusio crescente, le risate e i commenti dei clienti che continuavano ad entrare per celebrare nel loro piccolo la festosità del sabato sera.
L’aria fuori era ancora più umida e fredda, le vie ancora più solitarie e cupe, non mi restava che ritornare infreddolito verso casa.
Intanto pensavo a come sia triste il vivere soli, anziani e senza futuro.
Le immagini mentali incalzavano sempre più cupe e frenetiche, quasi assaporavo quell’amarezza rancida del solitario, del reietto, del fallito.
Dopo una mezz’ora mi sono rifugiato a casa, per fortuna la vecchia casa centenaria di mio padre, con i suoi libri, i variopinti quadri alle pareti e il suo disordine creativo mi ha accolto e coccolato.
Due bicchierini di grappa hanno dissolto il freddo e gli incubi.
Poi è ritornata lei, allegra, briosa, cinguettante e chiacchierina.
Ha voluto raccontare minuziosamente la complicata trama della commedia a cui avevano assistito.
Io, ancora con il volto imbronciato, dentro mi sono sciolto e silenziosamente mi sono detto che per essere un pasticcione solitario e permaloso ho avuto l’incredibile fortuna di aver incontrato un piccolo angelo, dalle ali candide come il suo nome.
PICCOLI MIRACOLI
Sono più di due settimane di naso a fontanella, mal di testa, catarro, dolori alla schiena e lagna lamentosa che affliggono nonno Talpone e i pochi sfortunati che gli stanno intorno.
L’Istrice, da poco ritornata, è dotata di pazienza infinita e ora gli ha somministrato gli antibiotici, facendogli riprendere i sensi.
Perché, ammettiamolo, è sempre spiacevole diventare vecchi, gli uomini poi, forse perché non sono coinvolti dal trauma del parto, il dolore vero proprio non lo sopportano.
Non consola abbastanza il leggere libri truci su crudeli prove di sopravvivenza nei lager e nei gulag, di naufraghi che stentano su isole deserte o gialli tenebrosi che descrivono serial killer maniaci, no, basta un dolorino all’anca e subito il mondo crudele ti crolla addosso, solo su te, sfortunato Giona biblico.
Nonno Talpone non solo si sente depresso e accidioso, ha assunto la viziosa abitudine di consultare ogni dieci minuti le eventuali mail che potrebbe aver ricevuto, nessuno gli scrive ovviamente, talvolta sente un trillo emesso dalla sua bianca tavoletta magica, guarda subito speranzoso, per scoprire che si tratta solo della pubblicità di una banca o dell’offerta scontata di voli natalizi verso mete lontane .
In tanta miseria spicciola ieri l’Istrice, avendo completato la sua relazione, gli ha improvvisamente chiesto di poter leggere il blog.
“ Veramente eri così impegnata, credevo non ti interessasse, poi tu mi sgridi perché non vuoi che si parli dei fatti di famiglia !”
“ Dai, fammi vedere, su zucchino …”
Nonno Talpone le ha porto la sua lavagnetta bianca, quella che ormai porta sempre con sé, come uno scolaretto con il suo portafortuna, lo apre sull’ultimo post e lei lo legge con il suo grazioso nasino a tre centimetri di distanza.
Comincia a ridacchiare, emette dei buffi “Ih! Ih !”, un singulto, gli occhi le si inumidiscono, piange e ride simultaneamente, facendo traballare lo smartphone davanti al viso.
Nonno Talpone la guarda, ogni volta stupito e ammirato, ogni volta la riscopre buffa e bellissima, si perde nella visione di questa ragazza che l’ha fulminato in un remoto passato, un affascinante animaletto speciale.
Dimentica ogni cosa, immerso in uno di quegli strani miracoli che talvolta possono accadere a tutti nella loro breve esistenza.
GUARDA CHI SI RIVEDE !
Ammettiamolo subito: io quasi non ci speravo più, in queste ultime settimane avevo temuto che il mio amico nonno Talpone fosse evaporato nell’aria come uno sbuffo di vapore dal tegamino della mia consueta vita quotidiana, da spiritello bizzarro e monello quale si è sempre mostrato.
Invece ora, dopo una settimana passata all’isola di Ventotene in compagnia del cognato Lingua di Ferro, instancabile e logorroico sindacalista, eccolo che appare tra le piante di noci al cancello della mia casetta umbra, ove mi sono fermato per una breve tappa intermedia prima del rientro a Milano.
Non c’è più il profumo acuto di salsedine, quel mare ammaliatore, dal blu intenso e cangiante, ma questa vaga atmosfera da sogno, tra il verde sfiorito autunnale e il fruscio delle foglie ingiallite, l’ha fatto materializzare improvvisamente, come un solerte custode di una vecchia villa accorso a salutare il padrone appena arrivato dopo un lungo viaggio.
Senza darmi tempo di potergli chiedere dove si fosse nascosto, assentato come per un’improvvisa vacanza, irrispettosa e poco professionale nei riguardi dei suoi lettori, ha iniziato subito a inondarmi di racconti affabulatori, progetti, rivelazioni, associazioni di idee, osservazioni originali e folgorazioni subitanee su fatti recenti e persone appena conosciute.
Poi, mentre il cancello di ferro si apriva cigolante, come richiamati dal suo stridore si sono precipitate dai cespugli e dagli alberi lontani le varie gatte di casa: Stellina, Hilda, Musetta, Baffetta, Merlina e Trovatella, con un coro di miagolii festosi, ma imperativi di richiesta di cibo.
Scarico i bagagli, preparo il pranzo felino, tolgo le barre di ferro dalle finestre e mentre cerco di chiamare la mia dolce metà, squilla il cellulare, è Lei, il mio amore quarantennale.
Scambi vicendevoli di notizie, la informo che, a parte un leggero ronzio, le mie orecchie sono ancora intatte dopo la dura prova subita nella settimana passata insieme al mio caro cognato sindacalista, proprio lui, Lingua di Ferro, mai ammutolito di giorno, russante la notte per le grandi bevute.
In verità vi erano state delle ore di pausa quando si nuotava insieme al mare, con maschera e boccaglio, quest’ultimo sfortunatamente da lui smarrito dopo un paio di giorni.
Sua moglie quando l’ha rivisto e abbracciato ha detto “Sei già tornato ? Sono stata così bene quando ero sola. La casa era sempre lustra e pulita, ho cenato spesso con le amiche. Mi sono proprio riposata !”
“ Buffo vero ? – ho ridacchiato io – Comunque sono sempre una bella coppia affiatata. Adesso sistemo un paio di cose, ma pensavo di tornare in treno domattina, ti sono mancato, vero ?”
“ Ma caro – è stata l’affettuosa risposta – ci sono tanti lavoretti da fare in campagna, sarebbe un peccato trascurarli ora che sei già lì. Chiama il tuo amico rumeno e fai preparare le buche per gli ulivi, le viti e i peschi. Tu potresti potare le piante, zappettare, verniciare gli sportelloni di legno.
Scusa adesso ti debbo lasciare, ho l’appuntamento con la parrucchiera e poi sono fuori con la mia amica Eva, è tanto in ansia per il marito.
Ciao amore, torna presto !”